The Conversation. Incontro con Nils Hartmann
Bisogna imparare l’inglese, ma non troppo, per essere invitati alle feste. Non è possibile non fare una seconda stagione di “M”. Sì, il nostro “Romanzo criminale” ha ridefinito la grammatica della serialità televisiva. Stiamo preparando il prequel di “Gomorra”, ambientato 30 anni prima dei fatti narrati dal libro bestseller di Roberto Saviano. Intervista a Nils Hartmann, vice presidente esecutivo di Sky Studios Italia.
“M – Il Figlio del Secolo”, “Hanno ucciso l’uomo ragno – La leggendaria storia degli 883”, ma anche “Romanzo Criminale”, “Gomorra”, “The Young Pope”, dietro questi titoli seriali del passato e del presente di Sky c’è Nils Hartmann, Vice Presidente Esecutivo di Sky Studios Italia, che da anni colleziona un successo dietro l’altro “puntando sulla qualità e prendendoci anche dei rischi con qualche idea folle”. Lo abbiamo intervistato.
Siete reduci dal successo di “M – Il Figlio del Secolo”. Cosa ha significato questa serie, di cui hanno tutti parlato, sia produttivamente sia in termini di ascolti e crescita degli abbonati?
È andata oltre qualsiasi aspettativa perché l’impressione è che sia uscita dalla scatola televisiva, è diventata un evento mediatico, di costume e culturale. Quando per anni segui e sviluppi un progetto e poi hai questo tipo di riverbero è una grande soddisfazione, si sentiva parlare ovunque di “M”, anche da chi non lo aveva visto. Questa cosa succede dopo l’exploit di “Hanno Ucciso l’Uomo Ragno – La leggendaria storia degli 883”, quindi è successo quello che in gergo pugilistico si chiama “uno – due” su due serie di genere nettamente diverso, due progetti che sono usciti dalla “cornice”, come quello che è successo a suo tempo con “Romanzo Criminale” e “Gomorra”. I risultati sono altissimi non solo in termini di dibattito ma anche di ascolti, pensiamo, per esempio, alla reazione che c’è stata in termine di acquisto proattivo su Now per vedere appositamente la serie. Un altro dato molto interessante è l’interazione sui digital media spontanea, non generata, che ha fatto il doppio di “Squid Game”, cosa che ci dà la dimensione di cos’è successo nel Paese, perché i social media sono lo specchio di quello che è la discussione generale.
Ci sarà una seconda stagione tratta da “M. L’uomo della provvidenza” di Antonio Scurati?
La missione è quella, ci stiamo lavorando, io sono ottimista di natura, non si può non prendere in considerazione di fare una seconda stagione di “M”. È molto impegnativo, soprattutto per Fremantle, perché ancora oggi abbiamo dei file aperti sulla vendita all’estero, e non riguarda solo “M”, è un tema quello di vendere all’estero serie che non sono in inglese. Cito il produttore Tarak Ben Ammar, che in un incontro a Venezia 81 mi ha detto una cosa che io trovo molto azzeccata: “Se non parli inglese non sei invitato alla festa. Se parli inglese con accento british ti invitano ma ti fanno stare al tavolo dei ragazzini”. È la sintesi di quello che succede nel nostro mercato dove serie molto riconosciute fanno però fatica all’estero.
“M.” presentato a Venezia, “Dostoevskij” dei fratelli D’Innocenzo a Berlino e “L’Arte della Gioia” di Valeria Golino a Cannes. Sky è presente nei più importanti festival internazionali con prodotti che hanno evidentemente un respiro cinematografico. Pensate che cinema e serie possano sovrapporsi e interscambiarsi e che il mercato e il pubblico di riferimento siano gli stessi?
Credo che questa cosa ormai sia assodata e vent’anni fa, quando abbiamo lanciato la serialità su Sky con “Quo vadis, baby?” e “Romanzo Criminale”, io c’ero, e questa era una scelta molto precisa, non c’erano ancora Netflix e le altre piattaforme, c’erano le fiction Rai e Mediaset. Poi siamo arrivati noi, e la scelta precisa di posizionare le serie sui canali Sky Cinema rendeva obbligatorio che si trattasse di prodotti dalla qualità cinematografica, che potessero convivere su quei canali col grande cinema italiano, ma anche con i prodotti di importazione di Hollywood e del resto dell’Europa. È nel dna delle serie Sky Original.
Con “Romanzo Criminale” e “Gomorra” avete cambiato la storia della serialità italiana …
È molto bello che con tutti quelli coinvolti siamo rimasti molto legati, ma è normale quando si scala una montagna insieme: Stefano Sollima, Riccardo Tozzi di Cattleya, Marco D’Amore che oggi sta girando il prequel di “Gomorra”, si è creata una legacy professionale, culturale ma anche affettiva abbastanza unica, e tutti abbiamo questa consapevolezza che per ognuno di noi nella propria carriera, nella propria vita c’è stato un pre e un post “Romanzo Criminale” e “Gomorra”. “Gomorra” è sicuramente il marchio che ha poi avuto più esposizione ma, come dico sempre, non ci sarebbe stato senza “Romanzo Criminale”, il lavoro che abbiamo fatto con Stefano Sollima ha aperto la strada. È interessante ripensare a quanto tempo sia passato e come sia cambiato il mondo dei media intorno a noi.
Cosa ci può raccontare del prequel di “Gomorra”?
Potremmo definirlo “the rise of Pietro Savastano”, 30 anni prima i fatti narrati nella prima stagione di “Gomorra”. Pietro Savastano è un ragazzino di 15 anni, siamo in una Napoli dai sapori, dai colori, dalla musica completamente diversa da quella cupa che abbiamo raccontato. Negli anni ’70 c’era il contrabbando di sigarette, non era ancora arrivata l’eroina, e quindi da una parte c’era una grandissima povertà, dall’altra una speranza nel futuro che poi sappiamo come andrà a finire. Vedremo come nasce l’amore tra Pietro e Donna Imma e anche, per esempio, come emerge il personaggio di Scianel. Per me e per tutti quelli che hanno partecipato alle 5 stagioni di “Gomorra” non avrebbe avuto senso fare un progetto banalmente commerciale per sfruttare un marchio. Scimmiottare il successo di quello che è stato già fatto sarebbe sicuramente perdente.
Se dovesse rievocare i suoi personali “highlights” di questi vent’anni, tra soddisfazioni, sfide vinte e momenti più difficili?
Ovviamente “Romanzo Criminale” e “Gomorra” le sfide vinte, grazie alle quali io, i miei collaboratori e le persone con le quali abbiamo lavorato abbiamo acquisito più consapevolezza. Siamo passati a “The Young Pope” di Paolo Sorrentino, che è una grande co-produzione internazionale, e che è stata possibile grazie al nome di un premio Oscar, ma anche all’esperienza pregressa della nostra serialità, fino a quel momento il riconoscimento all’estero era stato poco, eravamo referenziali come industria. Sono seguite una serie di altre avventure, come “Il Miracolo” di Niccolò Ammaniti. Ci sono ovviamente stati momenti difficili, soprattutto all’inizio, abbiamo imparato tante lezioni dai progetti meno “felici”, per esempio, con “Moana”, una serie in due puntate sulla celebre pornostar, abbiamo dovuto cambiare regista in corsa. O con la prima serie targata Sky Italia, “Quo vadis, baby?”, siamo andati a girare con dei copioni ancora non perfetti. Sono cose che impari, non puoi andare a girare senza avere i copioni finiti, ma c’era una data di messa in onda, l’amministratore delegato faceva pressione, e quindi abbiamo corso. Penso però che i momenti di difficoltà sono quelli che ti insegnano di più.
Come si fa a rimanere competitivi e resistere alla battaglia dello streaming in epoca di grande competizione online, tra Tv generalista, fast channel, YouTube, fruizione dei contenuti sui social. Come si rimane forti e leader del settore?
Noi abbiamo la fortuna di avere nel dna la qualità, la voglia di osare, e penso che “M – Il Figlio del Secolo” ne sia un esempio perfetto, così come altri progetti che hanno fatto rumore come la serie sugli 883 e la versione italiana di “Call My Agent”: visto l’originale francese poteva essere una toppa grandissima, e altri paesi non sono riusciti a fare qualcosa che fosse a quel livello, noi assolutamente sì. Anche “Un’estate fa”, una commistione di generi tra commedia, vintage e crime che non era stata mai sperimentata prima, penso sia andata molto bene. Secondo me riusciamo a rimanere competitivi perché non facciamo sconti alla qualità e proviamo sempre a prenderci qualche rischio con idee che sembrano un po’ folli.
“The Day of the Jackal” è stato un successo senza precedenti in tutto il mondo, per Peacock, per Sky UK ma anche per Sky Italia. È la prima volta che un titolo originale di Sky Studios proveniente da UK fa registrare certi numeri nel nostro Paese. È un precedente che traccia una nuova strada?
Sì, menzionerei anche “Chernobyl” con Sky UK e HBO che è stato un grande successo. “The Day of the Jackal” segna un altro passo e credo che sia dovuto al grande lavoro che sta facendo Cécile Frot-Coutaz, la CEO di Sky Studios. Penso che ne vedremo altre arrivare dai nostri cugini inglesi di questo livello, con quel tipo di ambizione.
Prossimamente vedremo su Sky e Now la seconda stagione della serie su gli 883, “Nord Sud Ovest Est”, “Gangs of Milano”, una vera e propria ripartenza per le storie già raccontate in “Blocco 181”, e la nuova stagione di “Call My Agent”: cosa ci può anticipare a riguardo e quali sono altre novità seriali che ci aspettano?
“Gangs of Milano” è aderente alla realtà che vediamo raccontata dai fatti di cronaca, e questo la rende interessante, e racconta un pezzo del passato del “Blocco”. Ho fatto vedere i primi due episodi a un artista che stimo moltissimo, che è Ghali, lui nel mondo delle gang di Milano ci è cresciuto, ed ero terrorizzato dal suo giudizio, ma lui ha apprezzato, e avere una persona che ha una sensibilità artistica come la sua e una coscienza sociale molto forte che approva il tuo lavoro è importante. Abbiamo poi iniziato da poco le riprese di “Avvocato Ligas”, che vedremo nel 2026, con un Luca Argentero che affronterà un ruolo poco buonista, molto “sporco”, alla “Californication”, quindi penso che sia una sfida interessante, siamo molto contenti della scrittura. Sempre il prossimo anno andrà in onda “Rosa Elettrica”, un road movie action crime con una bellissima coppia di attori: Maria Chiara Giannetta e Francesco Di Napoli. A fine anno arriverà la terza stagione di “Call My Agent – Italia”, e vi anticipo che in una puntata tornerà la banda di “Romanzo Criminale”. Con “Nord Sud Ovest Est” continuerà la favola degli 883 con il loro secondo album, andremo negli Stati Uniti a seguire Mauro Repetto. Ma ci tengo anche a sottolineare l’importanza di una serie uscita da poco, “L’Arte della Gioia” di Valeria Golino, con un messaggio fortemente femminista e coraggioso, fuori dai luoghi comuni.