A Barbaresco, nel cuore delle Langhe, nel 1859 muove i primi passi una cantina destinata a scrivere pagine importanti dell’enologia italiana: Gaja.
E proprio al Barbaresco, prodotto con uve Nebbiolo provenienti da 14 vigneti di proprietà, l’azienda ha legato indissolubilmente il suo nome e il suo destino.
Partita dal Piemonte, la cantina fondata da Giovanni Gaja 165 anni fa ha nel tempo ampliato i suoi orizzonti, per approdare in altre regioni del Paese altrettanto affascinanti dal punto di vista enologico.
Negli anni ‘90 Gaja si espande in Toscana, prima con l’acquisizione a Montalcino della tenuta di Pieve di Santa Restituta, quindi con la costruzione di Ca’ Marcanda a Bolgheri, nella Maremma livornese.
Nel 2016 è la volta della Sicilia con la cantina Idda, frutto della joint venture con la famiglia Graci. Oggi a portare avanti l’azienda c’è Rossana Gaja, che assieme ai fratelli Gaia e Giovanni rappresenta la quinta generazione della famiglia.
“I miei primi ricordi in cantina risalgono a quando ero bambina: le domeniche pomeriggio di fine agosto, quando si andava nei vigneti per controllare come procedeva la maturazione delle uve. Era il momento in cui si stava per finalizzare un anno di lavoro. Un momento intriso di famiglia e di gioco”, racconta Rossana.
Suo padre, Angelo Gaja, è considerato una delle personalità più influenti del vino italiano: la sua visione innovativa ha contribuito a trasformare il Barbaresco in un’icona globale di qualità. “Mio padre ci ha sempre stimolato a coltivare e sviluppare un pensare diverso – ricorda Rossana – un pensiero capace di andare controcorrente rispetto alle comuni dinamiche lavorative e alla direzione del mercato. Non adagiarsi mai sulle certezze, ma coltivare la filosofia del dubbio e quindi credere che nel nostro modo di operare ci siano sempre margini di miglioramento”.
Sono tantissime le innovazioni introdotte da Angelo che testimoniano l’applicazione concreta del suo pensare diverso e controcorrente. Fra queste, l’introduzione negli anni ’60 delle barrique, piccole botti di rovere francese che conferiscono ai vini maggiore complessità e struttura, una pratica poco diffusa in Italia fino a quel momento.
La scelta delle parcelle migliori, la riduzione delle spese, ma anche l’introduzione degli impianti di Chardonnay e Cabernet sauvignon, andando contro il parere dei suoi colleghi: una mossa volta alla conquista definitiva dei mercati internazionali e con cui ha dimostrato che il Piemonte poteva eccellere anche oltre il Nebbiolo.
Rossana ha conservato l’approccio innovativo e lungimirante di Angelo nell’affrontare le delicate sfide poste dalla crisi climatica.
“Insieme ai nostri collaboratori storici abbiamo definito un metodo di lavoro atto a preservare e accrescere la biodiversità nei nostri vigneti. Abbiamo creato una sinergia tra i saperi tradizionali e le nuove conoscenze acquisite con le sperimentazioni. Lavoriamo senza diserbanti e stiamo imparando a convivere con le piante che crescono spontaneamente nei vigneti. Gestiamo la vigoria dei suoli con le semine autunnali, volte a proteggere l’erosione dei terreni durante i temporali estivi. Inoltre, collaboriamo con due entomologi, per contrastare la proliferazione dei nuovi patogeni, e con un genetista, con cui abbiamo messo a punto la pratica della selezione massale nei nostri vigneti più vecchi, con l’obiettivo di proteggere la biodiversità delle viti storiche”.
Ma le difficoltà generate dal cambiamento climatico richiederanno un aggiornamento costante per trovare soluzioni originali a problemi sempre più urgenti.
“Bisogna accelerare i tempi della ricerca, che diventa la grande risorsa del futuro: solo così – chiarisce Rossana – potremo individuare portainnesti adeguati alle nuove condizioni climatiche e fitofarmaci meno tossici e più efficaci contro i patogeni”.
E a proposito delle soluzioni originali ai problemi, vero e proprio marchio di fabbrica della famiglia, Rossana è convinta che il cambiamento climatico possa anche aprire a nuove prospettive e opportunità.
“Salire di quota potrebbe aiutarci a capire come contrastare l’impatto del clima in viticoltura. Nel 2016, sul versante Sud-Ovest dell’Etna, è nato il progetto della cantina Idda. Produrremo soprattutto bianchi col Carricante e in parte col Nerello Mascalese. Ci piace rincorrere le varietà indigene, come il Nebbiolo in Langa e il Sangiovese a Montalcino. Riteniamo che anche sull’Etna si possano produrre vini eleganti, di medio corpo e con una buona prospettiva per l’invecchiamento”.
Ma le sperimentazioni ad alta quota non si esauriscono sulle pendici dell’Etna. “Al momento siamo impegnati anche con un nuovo progetto nelle Langhe – conclude Rossana – a un’altitudine di circa 650 metri sul livello del mare, dove negli anni sono state impiantate varietà a bacca bianca. Un progetto in divenire, ancora sperimentale, nato per acquisire nuove competenze. Pensiamo che, salendo in altitudine, la maggiore escursione termica fra giorno e notte possa rallentare la ripresa vegetativa della pianta e forse anche posticipare i tempi della vendemmia”.