Che i movimenti ambientalisti non avrebbero avuto facile sotto l’Amministrazione Trump e il suo “Drill baby, drill!” era ormai chiaro, ma il fatto è diventato ancor più evidente nelle scorse settimane quando un tribunale del North Dakota ha accolto la causa intentata dalla compagnia Energy Transfer contro Green Peace.
L’associazione è stata ritenuta responsabile di aver costruito una campagna di “violenza e diffamazione” contro il gruppo, in particolare per quanto riguarda la costruzione dell’oleodotto Dakota Access, causando a detta del tribunale un danno che l’Associated Press ha genericamente stimato per “centinaia di migliaia di dollari“, ma che secondo alcuni media si aggirerebbe intorno ai 300 milioni.
Tra i reati contestati a Green Peace International, Green Peace Usa e al braccio finanziario dell’organizzazione, ossia Green Peace Fund Inc., ci sono quelli di diffamazione, violazione di domicilio e cospirazione civile.
Le proteste intorno all’oleodotto, la cui costruzione era stata fermata da Barack Obama e poi ripresa da Donald Trump nel 2017, durante il suo primo mandato, sono partite soprattutto dai nativi Sioux residenti nella riserva di Standing Rock. Infatti, Dakota Access, se realizzato, attraverserebbe anche il loro territorio, rischiando di contaminarne le riserve idriche e di “violare” luoghi considerati sacri dalla tribù.
Per queste ragioni Green Peace ha respinto dapprima le accuse e successivamente la condanna, ritenendo che questa sentenza crei un precedente pericoloso per la libertà di espressione negli Stati Uniti. Deepa Padmanabha, legale dell’associazione, ha quindi annunciato un ricorso contro il tribunale del North Dakota, aggiungendo che il lavoro di Green Peace “non si fermerà mai”.