Sull’ex Ilva si prepara a sventolare la bandiera dell’Azerbaigian. La proposta migliore per aggiudicarsi il polo siderurgico tarantino, il più grande d’Europa, arriva infatti da una cordata azera composta da Baku Steel Company, che ha una capacità produttiva di 800.000 tonnellate l’anno, e dalla holding Azerbaijan Investment Company, quest’ultima sotto il controllo del Ministero dell’Economia azero.
La decisione è diventata effettiva dopo che, mercoledì, i tre commissari straordinari Davide Tabarelli, Giovanni Fiori e Giancarlo Quaranta insieme ai consulenti di Boston Consulting Group hanno dovuto estrapolare dalla proposta gli elementi sottoposti, nella stessa giornata, al Ministro per le Imprese e il Made in Italy Adolfo Urso.
“I commissari mi hanno preannunciato che nella giornata di oggi invieranno una richiesta formale per essere autorizzati a un negoziato con il soggetto internazionale che ha fatto la proposta migliore, che verosimilmente sarà appunto quella della compagine azera” ha dichiarato Urso.
Si apre così la fase dei negoziati. La palla adesso passa al Comitato di sorveglianza e infine arriverà la delibera del Mimit, che nei prossimi giorni dovrebbe fare un passaggio con Palazzo Chigi per definire la questione.
La scelta sulla cordata, secondo quanto si apprende da una nota stampa, sarebbe avvenuta dopo che: “Il processo di selezione ha valutato diversi fattori, tra cui la solidità finanziaria dei candidati, la sostenibilità industriale delle rispettive proposte e i benefici in termini di occupazione e per le comunità locali.”
A convincere sono stati quindi l’offerta di 600 milioni ai quali se ne aggiungerebbero altri 500 per la valorizzazione del magazzino. Senza contare la disponibilità di Baku Steel a portare un rigassificatore nel porto di Taranto, una disponibilità di gas capace di garantire per Acciaierie d’Italia e all’ex Ilva la transizione energetica e il passaggio dagli altiforni ai forni elettrici, nell’ottica della decarbonizzazione produttiva esplicitata dai tre commissari nel bando di vendita
Da più parti si parla anche di una possibile apertura, in fase di negoziato, agli indiani di Jindal Steel International e sarà, inoltre, necessario definire la quota statale che andrà in capo a Invitalia che dovrebbe essere del 10%, inizialmente si parlava del 25%. Una scelta auspicata dai sindacati ma che in un primo momento non aveva convinto il ministro Urso dato l’esito poco felice della convivenza pubblico-privato con ArcelorMittal.
Uno dei punti critici all’interno delle trattative sembra però essere il nodo occupazionale. Nella proposta presentata dagli azeri, infatti, si parla di circa 7000 occupati, contro i circa 10.000 in Acciaierie d’Italia, dei quali 8000 nell’ex Ilva di Taranto. Inoltre nella proposta è previsto un solo altoforno a cui accompagnare due forni elettrici, con la prospettiva nel medio termine di chiudere il primo e di aggiungere un terzo forno elettrico. Un cambiamento che è destinato a dimezzare la produzione industriale che passerà dai 12 milioni di tonnellate l’anno prodotti nei quindici anni di gestione della famiglia Riva a 6 milioni di tonnellate.
Un calo dell’occupazione e un calo della produttività nell’ottica di un cambiamento che avviene, tra l’altro, in un momento in cui i dazi del 25% posti dal presidente statunitense Donald Trump rischiano di far collassare il settore siderurgico.
Proprio per queste criticità, prima dell’avvio della trattativa, potrebbe rendersi indispensabile un incontro con i sindacati, richiesto dal segretario generale Uilm Rocco Palombella per “conoscere i contenuti dell’offerta presentata e ritenuta migliore dai commissari e dal Mimit”. A chiedere un coinvolgimento diretto è, invece, la Fiom Cgil che attraverso il segretario nazionale Loris Scarpa chiede: “la garanzia della piena occupazione, la decarbonizzazione, l’integrità del gruppo, la presenza pubblica dello Stato”.