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Salari: secondo il rapporto Ilo, in Italia sono i più bassi dal 2008

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Velasco25 Articolo

È una situazione desolante per l’Italia quella che emerge nel “Rapporto mondiale sui salari 2025-2026” pubblicato oggi dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo). Il nostro, infatti, risulta essere il paese dove i salari hanno subito il calo maggiore rispetto al potere d’acquisto, dal 2008 a oggi, si parla di una contrazione dell’8,7%.

Un dato che deve far riflettere, soprattutto tenendo conto che i nostri vicini d’Oltralpe, in Francia, si sono trovati quasi un 5% in più in busta paga, mentre in Germania l’incremento si aggira intorno al 15%.

Il ruolo dell’inflazione e il nanismo delle imprese italiane

Negli ultimi tre anni, i salari reali in Italia avevano conosciuto un calo del 3,3% nel 2022 e del 3,2% nel 2023, ma nel 2024 c’è stato un lieve aumento del 2,3%, una percentuale insufficiente per recuperare terreno davanti a un’inflazione sempre più incalzante.

L’inflazione è la causa principale dei salari bassi in Italia, unita a fattori strutturali sui quali spicca il nanismo del tessuto produttivo.

Secondo l’ultimo “Censimento permanente delle Imprese” redatto da Istat (risalente al 2023) tre quarti delle imprese nel nostro paese, circa il 78,9% del totale sono microimprese (con un organico tra i 3 e i 9 dipendenti), molto più basso è il numero delle piccole imprese (con un organico tra i 10 e i 49 dipendenti) che si attesta al 18,5%. Infine le medie imprese (tra i 50 e i 249 dipendenti) e le grandi imprese (dai 250 dipendenti in su) rappresentano, rispettivamente, appena il 2,2% e lo 0,4% del totale.

Una situazione critica alla base della nostra bassa produttività e competitività, in particolare nei servizi, oltre che degli scarsi investimenti in innovazione tecnologica e formazione dei lavoratori.

Un modello contrattuale inadeguato

Nonostante la produttività sia bassa, l’Oil osserva come questa sia cresciuta più dei salari. Teoricamente vi sarebbe lo spazio per incrementare le retribuzioni, ma il problema sta a livello contrattuale.

I ricercatori hanno sottolineato che, nonostante il modello dei contratti collettivi nazionali in Italia copra la quasi totalità dei lavoratori, il loro rinnovo non solo procede a rilento ma non è stato in grado di mantenere gli stipendi in linea con l’aumento dei prezzi.

Questo perché non sono stati in grado di coprire l’aumento dei beni energetici e hanno demandato la distribuzione dei bonus di produttività ai contratti aziendali, facendo sì che questi benefit andassero solo ai dipendenti di grandi aziende, una minoranza in Italia.

Disuguaglianza salariale tra lavoratori

La disparità non è solo tra i dipendenti delle medie e grandi aziende e quelli delle aziende micro e piccole, ma è anche tra lavoratori italiani e stranieri. Questi ultimi, infatti, vengono relegati a professioni con la minor retribuzione, il loro salario mediano risulta inoltre inferiore del 26% rispetto ai loro colleghi italiani.

Il gap è anche di genere. Quasi il 52% dei lavoratori italiani con bassi salari, infatti, sono donne, anche perché sono costrette molto più frequentemente a contratti part time. Il divario è anche tra giovani e anziani con i primi, nonostante un livello di istruzione superiore rispetto ai secondi, ricevono una retribuzione inferiore rispetto a quella che prenderebbero in altri paesi.

 

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