Una partita tra Italia e Francia ormai ai ferri corti. Se non ci fosse la più importante alleanza industriale tra i due Paesi, sul tema strategico dei microchip, non ci sarebbe da preoccuparsi. E invece siamo ormai al muro contro muro. Parliamo di StMicroelectronics che sta attraversando un anno complicatissimo e invece sarebbe il fiore all’occhiello dell’industria europea dei semiconduttori, i cervelli di tutti i nostri dispositivi tech: dall’auto allo smartphone, dalla tv al forno.
La quota di controllo della società è condivisa al 50% dalla Cdp francese (Bpi) e da quella italiana. Dunque, una cogestione della società che fino al 2023 andava avanti con la soddisfazione di tutti gli azionisti nonostante il top management fosse di estrazione francese.
Nell’ultimo anno il cortocircuito: il valore del titolo si dimezza anche a causa di una serie di profit warning sui conti seguiti da un piano di licenziamenti.
Cos’è successo
La goccia che fa inalberare la parte italiana, dunque il ministero del Tesoro, azionista a monte di StMicroelectronics, è la class action avviata negli Stati Uniti contro il management, accusato di non aver dato una trasparente rappresentazione delle prospettive del business.
L’ad Jean Marc Chery e il direttore finanziario Lorenzo Grandi vengono pizzicati a vendere titoli in loro portafoglio per circa 8 milioni di euro pochi giorni prima di annunciare l’allarme sui conti. E ora il governo italiano minaccia i poteri di veto per bloccare le delibere del consiglio di amministrazione di StMicroelectronics.
La decisione di avvalersi delle prerogative previste dai patti parasociali, che regolano la governance della società dei semiconduttori, viene vista come un’extrema ratio. Ma sarebbe solo l’ultimo passo dopo aver constatato l’inadeguatezza dell’amministratore delegato.
L’accordo con Bpi France
Fonti rivelano come il Tesoro aveva cercato un accordo con gli omologhi di Bpi France per traghettare un cambio al vertice, visto che Chery sarebbe scaduto nella primavera 2024. I francesi erano contrari a un cambiamento immediato, così si è concordato un percorso più graduale. Una interlocuzione confermata da scambi di mail, nei quali Chery era in copia.
L’ad è stato confermato, ma al contempo è stata prevista l’integrazione del management board (allora composto solo da Chery) con più figure con l’obiettivo di affiancare il top manager per metterlo sotto tutela. E nel frattempo cercare un nuovo amministratore delegato competente.
Da parte italiana si sta cercando di uscire dall’impasse. Maurizio Tamagnini, vicepresidente del Consiglio di sorveglianza in rappresenta di Cassa Depositi, si è appena dimesso per favorire un miglior clima istituzionale tra i due soci.
È servito però anche il voto italiano nel board per approvare il programma di riduzione dei costi della multinazionale, che prevede un risparmio minimo di 800 milioni di dollari con un impatto ancora non dettagliato sull’Italia.
La chiusura della divisione Automotive
Tra le scelte contestate, la chiusura della divisione Automotive nel 2024, che aveva generato il 55% dell’aumento dei ricavi e il 63% del risultato operativo consolidato nel periodo 2018-2023.
Questa divisione aveva un cuore molto italiano e la parte operativa nei siti di Agrate e Catania. La scelta di Chery avrebbe minato gli equilibri a favore della Francia.