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Dazi e clima, gli agricoltori italiani tra incudine e martello. Parla Granieri (Coldiretti)

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L’agroalimentare europeo ed italiano trema per i dazi, ma il suo futuro non passa solo dalle decisioni dell’amministrazione Trump. “L’attuale PAC, la politica agricola comune, è fondata su un modello green deal che assolutamente non soddisfa gli agricoltori italiani né quelli europei”, afferma David Granieri, Vicepresidente di Coldiretti nazionale. La situazione del settore agricolo italiano ed europeo è quella di chi si trova tra incudine e martello, dice: da una parte i dazi e il modello europeo degli aiuti al settore (“insufficiente”), dall’altra le conseguenze della crisi climatica.

Qual è la situazione attuale degli aiuti europei all’agricoltura?

L’attuale Politica Agricola Comune (PAC) è basata su un modello di green deal che non soddisfa gli agricoltori italiani ed europei. Paradossalmente, l’Italia ha già il modello agricolo più sostenibile in Europa, con 5 regioni che hanno raggiunto l’obiettivo 2030 del 25% di coltivazione biologica. La nuova PAC dovrebbe essere calibrata sulle esigenze produttive, garantendo omogeneità nelle regole in tutta Europa e destinando le risorse agli agricoltori professionali.

Come si pone l’Europa rispetto alla competitività con Cina e Stati Uniti?

La competitività passa attraverso diversi fattori. Innanzitutto, il tema dei dazi potrebbe mettere in difficoltà l’esportazione, specialmente verso gli Stati Uniti che sono il primo mercato di riferimento per prodotti come il vino. Inoltre, è fondamentale l’applicazione del principio di reciprocità nei trattati commerciali e l’abolizione dell’articolo 8 del codice doganale, che permette di etichettare come italiani prodotti che subiscono solo l’ultima lavorazione in Italia.

Quali sono i rischi economici dei dazi per il settore agroalimentare italiano?

I dazi possono avere un impatto significativo sulle grandi eccellenze italiane come il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano e i grandi vini. Questo si ripercuoterebbe anche sulle piccole imprese e sull’economia territoriale, specialmente in regioni come Emilia Romagna, Veneto e Lombardia, che fondano la loro economia su questi grandi marchi. Come avvenuto durante la precedente amministrazione Trump, si spera in un ripensamento. Tuttavia, la situazione è complicata da numerosi fattori geopolitici e da una politica americana molto aggressiva.

Quali sono le prospettive per l’export agroalimentare italiano?

Reindirizzare le quote di export attualmente destinate agli Stati Uniti è molto complesso. Ci sono mercati interessanti come il Medio Oriente, il Giappone, la Cina e la Russia, ma non sufficienti a compensare. Il rischio concreto è un aumento del fake Italian, ovvero prodotti contraffatti che imitano quelli italiani, che potrebbe superare gli attuali 120 miliardi di euro.

In questo momento quali sono gli impatti del cambiamento climatico per gli agricoltori italiani?

Da questo punto di vista il settore si trova tra incudine e martello, con alternanza di bombe d’acqua e periodi di siccità. È necessaria una scelta infrastrutturale che preveda la modifica della legge Galasso per permettere la manutenzione dei letti dei fiumi e un nuovo piano invasi per aumentare la raccolta delle acque piovane, attualmente ferma all’11%. Questi interventi sono fondamentali per garantire la sostenibilità e la produttività dell’agricoltura italiana.

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