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Raccontiamo storie di  supereroi senza mantello / Intervista all’AD di Lux Vide, Luca Bernabei

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Velasco25 Articolo
AD di Lux Vide, Luca Bernabei

Amministratore Delegato di Lux Vide dal 2013, dopo 25 anni di esperienza nelle produzioni internazionali, Luca Bernabei, incluso a dicembre 2024 per il quarto anno consecutivo nella Variety500, la lista delle 500 figure più influenti dell’industria globale dell’audiovisivo, ci racconta la sua Lux Vide. Ripercorriamo insieme la storia della società di produzione, dagli albori nel 1992 attraverso i grandi successi delle prime produzioni storiche al suo ingresso come Ceo e fino ad oggi.

Come si è evoluta la Lux Vide nei suoi oltre trent’anni di storia, dalla fondazione all’ingresso in Fremantle? Qual era il suo obiettivo quando è diventato AD?

Il nostro obiettivo è sempre stato portare avanti il “sogno di Ettore Bernabei”, che viveva questa azienda come una missione sociale prima che come un lavoro. Questo ha significato da un lato valorizzare al massimo le grandi potenzialità della Lux, dall’altro mantenerla saldamente ancorata ai principi che Ettore ci ha trasmesso, per noi fondanti sia in termini professionali che umani. Siamo nati con il progetto “Bibbia”, producendo quello che in America chiamerebbero “faith content”, e negli anni ci siamo spostati verso prodotti più laici ma in cui la spiritualità non si è mai persa. Da sempre seguiamo fedelmente la nostra linea editoriale, basata su una comunicazione responsabile e su un rispetto profondo e sincero per il pubblico. Raccontiamo storie di “supereroi senza mantello”, persone comuni dai saldi principi che alla fine, anche tra mille difficoltà, scelgono sempre il bene. Il recente ingresso in Fremantle ci ha sicuramente dato una spinta ulteriore verso l’internazionalità, ma la nostra identità rimane la stessa, quella su cui mio padre Ettore e mia sorella Matilde l’hanno fondata, e che ha portato la Lux ad essere quello che è oggi. L’essere legati a contenuti valoriali all’inizio è stato difficile, ma poi è diventato un vero e proprio posizionamento di marketing, portando la Lux ad essere una delle più importanti produttrici di scripted broad content in Europa.

Non solo società leader in Europa nella produzione televisiva, unica in Italia con oltre 1.500 ore di programmazione in prima serata, ma unica anche in quanto “villaggio” come lo ha definito in un’intervista, ecosistema autonomo in grado di gestire internamente, in-house l’intero ciclo di realizzazione del prodotto. Ci può descrivere questo modello produttivo?

Villaggio è il termine giusto perché rende l’idea di un microcosmo in cui ciascuno di noi, con competenze e ruoli diversi, svolge il suo lavoro con passione e dà il suo contributo verso un obiettivo condiviso. Crescendo di anno in anno abbiamo ampliato il nostro spettro d’azione lungo la filiera fino a coprire l’intero processo produttivo. Siamo una sorta di mini-major, in cui il prodotto nasce e cresce in-house fino ad essere pronto per la messa in onda. È un sistema integrato e sinergico, frutto di investimenti costanti e lungimiranti che ci hanno portato, ad esempio, a possedere 7 teatri di posa di proprietà – caso unico in Italia. Un altro grande punto di forza del sistema Lux è la scelta strategica di investire sui giovani che formiamo in azienda, nella speranza di far crescere grandi sceneggiatori e registi di domani. È un altro importante insegnamento di Ettore: dar spazio ai giovani e “nutrirli”. I frutti sono già evidenti, tanto che oggi in Lux lavora un team che ha al suo interno tra i migliori professionisti in Europa nel campo della scrittura, dello story editing e della regia.

Qual è la chiave per rendere le produzioni trasversali non solo a pubblici diversi, ma persino a momenti storici diversi, su tutte “Don Matteo”, un esempio di “longevità televisiva”, una serie che ha saputo evolvere e reinventarsi nell’arco di 25 anni senza invecchiare? Quali altre tra le vostre produzioni storiche considera particolarmente esemplificative di questa capacità di adattamento?

Credo che la chiave sia duplice. Da un lato sicuramente essere capaci di rinnovarsi e far evolvere le serie in parallelo ai tempi che corrono, dall’altro saper mantenere un forte attaccamento all’identità originale, conservandone gli elementi distintivi più cari al pubblico. È un lavoro molto delicato, che richiede grande competenza sia sul lato creativo che produttivo. Per dare un’idea, gli Head Writer di Don Matteo, Mario Ruggeri e Umberto Gnoli, ci lavorano rispettivamente dal 2003 e dal 2010. Negli anni hanno sviluppato una profondissima competenza nella lunga serialità, che oggi trasmettono agli sceneggiatori più giovani che lavorano con noi. Credo che sia questo tipo di professionalità a portare le nostre serie – come anche “Un Passo dal Cielo 8” e “Che Dio ci Aiuti 8” – a fare ancora il 23%, continuando a sovraperformare dopo molti anni. E i risultati si estendono a tutto il nostro portafoglio di prodotti, basti pensare che le ultime 80 serate di serie tv prodotte da Lux per RAI hanno fatto performance da record con una media del 25%. Vedo il successo di queste serie un po’ come uno specchio dell’Italia che sa crescere ma anche conservarsi, perché il cambiamento è un valore ma anche il “saper stare” lo è.

Dalle produzioni storiche ad oggi, come sono i prodotti Lux del presente e dell’immediato futuro? Quali gli elementi di continuità con i successi consolidati e quali i tratti originali?

In Lux seguiamo una linea editoriale solida e coerente, che è un po’ la nostra via maestra che garantisce continuità e un forte posizionamento di marketing in tutti i contenuti che produciamo. Facciamo feel good content, concentrandoci su storie che facciano stare bene il pubblico che ci guarda, e questo a prescindere dalla tipologia di prodotto o dalla piattaforma di destinazione. Poi chiaramente le aspettative degli spettatori cambiano con il tempo e i prodotti si devono evolvere di conseguenza. Questo vale sia in termini prettamente contenutistici – con, ad esempio, temi e personaggi sempre attuali – sia in termini formali, perché le dinamiche narrative e tutte le componenti di produzione devono essere sempre in linea con le richieste del mercato, che cambiano anno dopo anno.

Anima italiana e respiro internazionale: come siete riusciti a conciliare un modello culturale e radici profondamente mediterranee con un indiscusso successo all’estero che si è tradotto, tra l’altro, in una nomination ai Golden Globe, due agli Emmy Awards e un Emmy vinto nel 1994?

Da sempre in Lux abbiamo due linee di prodotto dominanti: una rivolta direttamente al mercato internazionale (come “I medici” e “Diavoli”, o “Costiera” e “Sandokan” in prossima uscita) e una più rivolta al pubblico nazionale ma sempre con un forte potenziale di esportazione (in questo il caso di “DOC. Nelle tue mani” – prima serie italiana ad avere un remake americano – è emblematico). In generale, la nostra formula per l’internazionalizzazione consiste nel costruire storie eminentemente italiane – o mediterranee, se vogliamo ampliare – che raccontino la cosa più universale che esiste, cioè la vita quotidiana di persone allo stesso tempo comuni e straordinarie, in cui ciascuno di noi può identificarsi. Negli anni abbiamo consolidato una sorta di formula che prevede sempre quattro elementi chiave: un high concept, un look riconoscibile, alti standard produttivi ed un’ambientazione che celebri il meglio delle bellezze che il nostro paese ha da offrire.

L’internazionalizzazione è al centro delle politiche di tutte le maggiori istituzioni del settore, impegnate nella valorizzazione del prodotto audiovisivo italiano e nella sua sempre maggiore affermazione all’estero; quale ruolo assumono i prodotti televisivi nel determinare l’immagine dell’Italia all’estero?

Non è un caso che i settori culturali e mediatici siano ai primi posti nelle agende di investimento di tutte le maggiori potenze mondiali. L’audiovisivo è cruciale nelle dinamiche di soft power perché determina il modo in cui il nostro paese e la nostra cultura sono visti all’estero, nel bene e nel male. Se facciamo vedere il meglio che abbiamo, riceveremo in risposta maggiori afflussi turistici e in generale una migliore percezione della nostra cultura. Se invece mostriamo il nostro peggio, il rischio è di continuare ad essere visti attraverso stereotipi e cliché negativi – purtroppo ancora abbastanza frequenti. Sono chiaramente dinamiche di influenza intangibili, ma non per questo da trascurare. È una delle ragioni per cui noi produttori siamo investiti di grandi responsabilità, perché le serie che produciamo contribuiscono a costruire l’immagine che il mondo ha dell’Italia.

“Sandokan”, la vostra nuova serie evento internazionale di prossima uscita è esempio virtuoso di fattibilità, modello di “ingegneria produttiva”; quanto la tecnologia è al servizio del difficile equilibrio tra elevati standard di produzione da un lato e aumento dei costi e riduzione dei budget dall’altro?

Le nuove tecnologie ci permettono di fare cose che fino a qualche anno fa sarebbero state impensabili, a maggior ragione con i budget a disposizione in Europa, sicuramente più contenuti di quelli americani. Con “Sandokan” siamo riusciti a “ingegnerizzare la produzione” nel senso che abbiamo fatto leva su tecnologie all’avanguardia per essere creativi nel modo di produrre. Il modo migliore per spiegarlo è forse l’esempio delle battaglie navali, che erano previste da sceneggiatura ma che non avremmo potuto girare in mare sia per motivi economici che di sicurezza. Abbiamo quindi allestito un panottico di 300 metri quadri fatto di Led Wall e ricostruito un intero vascello ottocentesco per girare tutto negli studi di Formello. Chiaramente per farlo abbiamo dovuto operare anche sul materiale creativo, e credo sia proprio questa sinergia tra il dipartimento editoriale e quello produttivo a rendere possibili soluzioni come questa.

Un suo sguardo personale sulle prossime tendenze di mercato 

Con l’ascesa degli streamer i “limited” – serie che si concludono in un numero ristretto di puntate e non prevedono stagioni successive – sembrano aver conquistato il mercato, diventando la scelta predominante per molti produttori. Su questo io vado un po’ controcorrente, perché credo che la richiesta di procedural – serie che prevedono più stagioni con casi di puntata autoconclusivi, come “Don Matteo” e “DOC. Nelle tue mani” – non solo non diminuirà, ma continuerà addirittura a crescere. Da sempre pilastro della televisione lineare, penso che questo formato sarà – come già è – sempre più richiesto anche dalle piattaforme. La sua struttura ricorrente è in grado di “saziare” lo spettatore con un paio di episodi, contribuendo a calmierare il consumo bulimico tipico del binge-watching, che, generando un bisogno costante di nuovi contenuti, spinge gli streamer a seguire un modello produttivo non sostenibile nel lungo periodo. Bisogna anche considerare che individuare sempre nuove idee che funzionino ed entrino nel cuore del pubblico non è affatto semplice, mentre il procedural permette di affezionarsi ai protagonisti e riconoscere le serie come veri e propri brand, facilitandone la visione. Ma si tratta di prodotti molto complessi da realizzare, che richiedono grande lungimiranza ed esperienza sia sul lato produttivo che creativo. È uno di quei casi in cui l’improvvisazione non è ammessa… 

Con quali partner e piattaforme sono attivi accordi e quali eventuali altri in previsione 

Per Rai, con cui collaboriamo felicemente da più di trent’anni, stiamo ora girando la terza stagione di “Blanca” e presto partiremo con la quarta di “DOC. Nelle tue mani” e la quindicesima di “Don Matteo”. Entro la fine dell’anno andrà in onda “Sandokan” – ora in post-produzione – e stiamo sviluppando una nuova serie legal. Abbiamo poi accordi in corso con Mediaset per varie serie (anche con nuovi format) oltre alla terza stagione di “Buongiorno, mamma!”, attualmente in produzione. Quanto alle piattaforme, a breve andrà in onda “Costiera” su Prime Video, frutto di un’inedita co-produzione tra una società di produzione e uno streamer. Stiamo anche girando una serie per Netflix e sviluppando “Floating Lives”, una serie che intreccerà le storie di otto vittime del naufragio della “Concordia” e di cinque vigili del fuoco che hanno rischiato la vita per salvarli.  

Matilde Bernabei 

Founder 

“Insieme a mio padre Ettore e poi con mio fratello Luca, sin dalla nascita di Lux Vide abbiamo puntato non solo alla realizzazione di grandi serie internazionali — da “La Bibbia” a “Coco Chanel”, fino al ciclo del Rinascimento — ma, già dal 1995, anche alla lunga serialità, come con “Don Matteo”, che è tuttora la più longeva. Dai primi anni 2000 abbiamo costruito un modello innovativo, per fare di Lux Vide uno dei principali studios europei, sviluppando internamente l’intera filiera dell’audiovisivo: dalle writers’ room agli studi di Formello, dalla post-produzione fino alla distribuzione internazionale. Oggi, grazie a Luca, proseguiamo questo percorso con nuovi progetti come “Sandokan” e “Costiera”, pienamente coerenti con la visione che ci guida fin dalla fondazione.”

Corrado Trionfera

Head of Production

“In ogni produzione, cerchiamo di unire il meglio della creatività, dell’efficienza e della tecnologia, portando il talento italiano a livello globale con un’attenzione costante alla qualità, all’ambiente e al benessere di tutti i nostri collaboratori”

Elena Bucaccio

Head of Drama

“Lux Vide ha un’identità molto precisa: la nostra ambizione è sempre stata produrre serie multi-target, che incoraggino a guardare alla vita con speranza. Questo tipo di prodotto, che per un certo tempo sembrava adatto solo alla tv generalista, adesso ha un nome inglese, good feeling content, ed è diventato così rilevante da essere fortemente richiesto dagli OTT. Questa è la prova che, in un mercato sempre più complesso, avere una linea editoriale solida non è un limite, ma un’opportunità”.

Articolo estratto dal numero di Aprile 2025 di Fortune Italia Entertainment, sfogliabile gratuitamente al seguente link Fortune Entertainment Aprile 2025 • Abbonamento Riviste

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