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Dazi, il Made in Italy a caccia del piano B

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Velasco25 Articolo

Sostituire gli Usa è possibile? Tra le tante ipotesi circolate nei giorni successivi all’introduzione dei dazi voluti da Donald Trump a tutti i costi (per ora quantificabili in trilioni di dollari bruciati dalle Borse mondiali) c’è anche quella di dirottare l’export italiano verso nuovi lidi. Anche nel giorno dell’incontro a palazzo Chigi tra governo e categorie produttive, l’ipotesi che viene menzionata più spesso è quella di nuove rotte commerciali per il Made in Italy.

Conflavoro, ad esempio, ha chiesto che 10 miliardi di euro del Pnrr vengano utilizzati “per aiutare concretamente le nostre aziende anche ad aprire nuovi mercati”. E anche Confcommercio ha suggerito che “l’Unione Europea dovrebbe intensificare gli sforzi per concludere nuovi accordi di libero scambio in aree strategiche come India, Paesi del Golfo, Australia, Indonesia e Malesia, accelerare la ratifica dell’accordo con il Mercosur, riaprire un canale di negoziazione con la Cina e ridare vigore al multilateralismo nel commercio internazionale attraverso l’Organizzazione mondiale del Commercio”.

Ma “trovare un piano B sarà difficile”, spiega a Fortune Italia Stefano Francia, presidente in Emilia di Cia – agricoltori italiani e produttore ortofrutticolo romagnolo. “Per molte filiere italiane, si è investito per anni in qualità, e ora quei prodotti rischiano di perdere uno sbocco fondamentale”. Il problema, spiega, non riguarda tanto i prodotti ‘premium’, ma soprattutto quelli di fascia media, i più esposti all’aumento dei costi dovuti ai dazi: “Il consumatore che può permettersi un formaggio stagionato 48 mesi continuerà a comprarlo”.

La ricerca di nuovi mercati

Per il presidente di CIA Emilia, è però obbligatorio aprirsi a nuovi mercati: “Pensiamo all’India, al Medio Oriente, a quei Paesi in via di sviluppo dove cresce una classe media disposta a spendere per prodotti di qualità”. Tuttavia, avverte, non è un processo semplice: servono accordi, autorizzazioni, adeguamenti delle etichette e della logistica. E serve tempo. Secondo Confartigianato ci sono “tante aree che sono appetibili per il nostro Made in Italy considerando il fatto che nel 2024 l’importo totale dell’export delle piccole imprese è stato di 176 miliardi, quindi un 3% in più rispetto all’anno precedente. Questa è la dimostrazione della vitalità delle nostre imprese”.

In attesa delle misure del Governo, le ipotesi per salvare il Made in Italy sono diverse. Unimpresa ha chiesto di spingere per la sospensione del patto di stabilità, che porterebbe risorse per 10-12 mld per le imprese. Tra le richieste al Governo c’è anche una riprogrammazione del Pnrr – e anche in questo caso bisognerebbe passare da Bruxelles.

La suggestione anti-dazi: andare a produrre negli Usa

Tra gli imprenditori circola anche la suggestione di andare a produrre direttamente negli Stati Uniti. “L’agricoltura non si può delocalizzare. Il vino e il formaggio, ad esempio, nasce dalla terra, dall’altitudine, dall’ambiente. Non puoi fare il Parmigiano Reggiano o il Lambrusco altrove”, ribadisce Francia, che sottolinea come al centro degli sforzi per proteggere i prodotti italiani ci debba essere proprio il territorio.

Non solo dazi: l’impatto del clima

Il territorio emiliano, dall’alluvione del 2023 in poi, è stato messo particolarmente alla prova. La questione dei dazi non è l’unica preoccupazione. “Il clima è diventato una difficoltà costante. Dalle gelate tardive alla siccità, fino alle piogge estreme: dobbiamo adattarci rapidamente. Abbiamo investito in sistemi antibrina, irrigazione e nella bonifica dei terreni, ma servono risorse e visione a lungo termine”. Francia sottolinea il ruolo fondamentale del Consorzio di Bonifica della Romagna, che presiede: “Distribuiamo acqua a 30.000 ettari e gestiamo 2.000 km di canali: senza queste opere, molti territori non sarebbero abitabili né coltivabili”.

Posto che “i dazi sono una politica sbagliata, che penalizza i consumatori americani e mette in difficoltà i produttori italiani”, secondo Francia la speranza è ancora che la diplomazia trovi una soluzione. “Mi aspetto che la diplomazia italiana – tra le migliori al mondo – ottenga risultati concreti. E che l’Unione Europea dimostri di saper giocare il suo ruolo: serve una strategia comune, forte e unitaria”.

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