Intervista a Daniela Fumarola, segretaria generale della Cisl, su settimana corta, salario minimo, soffitto di cristallo e disoccupazione femminile.
In una società segnata da grandi trasformazioni economiche e tecnologiche, il ruolo del sindacato evolve in risposta alle nuove esigenze che è chiamato a rappresentare. Questi bisogni riflettono i profondi cambiamenti che il nostro Paese affronta e diventano oggetto di dibattito non solo politico ma anche culturale. La necessità di applicare nel mondo del lavoro la settimana corta, le nuove forme di partecipazione e le incertezze legate all’introduzione del salario minimo sono solo alcuni degli argomenti che richiedono una riflessione urgente per evitare di rimanere indietro nel contesto internazionale. Ne abbiamo parlato con Daniela Fumarola, segretaria generale della Cisl.
Fumarola, lei è da poco diventata la nuova segretaria generale della Cisl. Come donna, è stato difficile raggiungere questo ruolo?
È innegabile che le donne incontrino ancora difficoltà nel raggiungere ruoli apicali in molti settori della società e delle istituzioni. Anch’io, all’inizio del mio percorso, ho dovuto affrontare pregiudizi e ostacoli di natura culturale. Tuttavia, ho sempre considerato queste barriere come sfide da superare, non come limiti insormontabili.
La Cisl ha sempre dimostrato grande attenzione al ruolo delle donne nel mondo del lavoro e nella società, senza mai ideologizzare il tema della parità di genere. Oggi, all’interno della nostra organizzazione, ci sono moltissime donne sindacaliste che operano a diversi livelli, sia nelle categorie sia sui territori e nei servizi. Una risorsa straordinaria non solo per il sindacato, ma per il Paese.
Il vostro sindacato è storicamente contrario all’introduzione del salario minimo. Qual è la vostra posizione?
Un salario minimo legale, anziché risolvere il problema dei bassi salari, rischierebbe di indebolire il sistema della contrattazione collettiva abbassando i salari medi e mediani, oltre che aumentare il lavoro nero nelle fasce labour intensive.
In un Paese come l’Italia, dove quasi il 98% dei lavoratori è coperto da un contratto nazionale, la priorità non è fissare una soglia minima indifferenziata, ma rafforzare i contratti esistenti, rinnovarli e innovarli, potenziare la contrattazione decentrata aziendale e territoriale, estendendola anche nei settori in cui oggi manca.
Bisogna puntare su una contrattazione di qualità, elevare e redistribuire la produttività, abbassare le tasse sul ceto medio. E poi qualificare l’occupazione con la formazione e combattere lo sfruttamento: il lavoro nero, il part-time involontario, i falsi tirocini e le finte partite Iva. Su questi temi il salario minimo non avrebbe alcun impatto. Il nostro impegno è garantire ai lavoratori e alle lavoratrici stipendi dignitosi attraverso la contrattazione e il rafforzamento delle tutele esistenti.
Quali sono gli aspetti positivi della settimana corta?
La riduzione dell’orario di lavoro è una storica battaglia della Cisl, ma va applicata in modo flessibile, adattandola alle specificità territoriali e aziendali attraverso la contrattazione. Una norma rigida e indifferenziata sarebbe insostenibile. Ogni settore ha le sue peculiarità e deve poter trovare il giusto equilibrio tra produttività, salari e orari. Noi proponiamo un modello che consenta ai lavoratori di optare per la settimana corta mantenendo inalterato il salario, attraverso la conversione di parte dei premi di produttività in tempo libero.
A proposito di partecipazione, cosa prevede la legge approvata alla Camera e fortemente voluta dalla Cisl?
È una svolta storica per il mondo del lavoro in Italia. La proposta di legge, ora al Senato per l’approvazione definitiva, prevede quattro forme di partecipazione: gestionale, economico-finanziaria, organizzativa e consultiva.
La contrattazione collettiva avrà un ruolo centrale nell’applicazione di questa legge, con il sostegno di 72 milioni di euro stanziati dalla manovra di bilancio. È un’occasione straordinaria per cambiare il modo in cui i lavoratori vengono coinvolti nelle decisioni aziendali, aumentare la produttività e migliorare il benessere nelle imprese.
Come si può migliorare la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro e conciliare meglio il binomio lavoro-famiglia?
Questo è un tema cruciale per il futuro del Paese. Far entrare le donne nel mondo del lavoro e farle restare significa crescita economica, riduzione della povertà, aumento della natalità e lotta alle discriminazioni.
Oggi l’Italia ha uno dei tassi di occupazione femminile più bassi d’Europa: una donna su due non lavora, e questo è inaccettabile. Per cambiare questa situazione servono misure concrete: più servizi per l’infanzia, più incentivi per le aziende che promuovono la parità, più flessibilità negli orari e nel lavoro agile, con una distribuzione equa tra uomini e donne.
Va rafforzato l’assegno unico universale, ma anche ampliata l’offerta di tempo pieno a scuola e di centri estivi. Non possiamo limitarci a interventi spot: bisogna ridurre il divario territoriale nei servizi sociali tra Nord e Sud e creare una rete di sostegno che permetta alle donne di lavorare senza dover rinunciare alla famiglia. La parità di genere non è solo una questione di giustizia sociale, ma una leva fondamentale per il progresso del Paese.
Il sindacato riesce a interpretare le necessità delle nuove generazioni?
Il sindacato vive solo se accetta questa sfida. Dobbiamo essere consapevoli che il mondo del lavoro sta cambiando e che le nuove generazioni hanno bisogni diversi rispetto al passato. Abbiamo fatto grandi progressi nel coinvolgerle, ma dobbiamo fare di più.
Dobbiamo contrastare il precariato, garantire una buona contrattazione nei settori meno tutelati, combattere gli abusi nei tirocini e nelle false partite Iva. Ma soprattutto, serve un investimento senza precedenti su competenze e formazione. Il nostro obiettivo è costruire un nuovo statuto della persona, con un sistema che assicuri a tutti sostegno al reddito, percorsi formativi e un orientamento efficace al mercato del lavoro sui territori. Solo così potremo offrire ai giovani opportunità concrete per un futuro stabile e dignitoso.
L’articolo originale è stato pubblicato sul numero di Fortune dell’aprile 2025 (numero 3, anno 8)