Motori di ricerca, mail, Meta, Apple News, Amazon, Twitter, Google Maps: tutti servizi che utilizziamo quotidianamente senza pagare nulla.
Ma questi colossi che ci mettono a disposizione tecnologie come campano? Riempiendo gli schermi di pubblicità. Internet è il più grande mercato nella storia dell’umanità ed ha imparato a sfruttare tutte le informazioni personali prodotte ogni volta che facciamo un clic, elaborandole in algoritmi in grado di orientare i bisogni, i comportamenti sociali ed influenzare anche le scelte politiche. Si chiama profilazione. Una merce molto richiesta da migliaia di aziende e gruppi di pressione.
Ogni singolo profilo può essere venduto più volte, producendo ogni volta un ricavo per un diverso attore di questa filiera globale generata a nostra insaputa. Questa replicabilità rende i nostri profili il bene più scalabile e redditizio.
La moltitudine di dispositivi connessi che stanno crescendo in modo esponenziale, alimentati da una potenza computazionale sempre più veloce, consente ad Amazon, Google, Meta, Microsoft e TikTok di sfruttare queste miniere di dati, diventando sempre più sofisticati nel controllo di tecnologie integrate tra web e mobile.
Nella guerra commerciale appena lanciata da Donald Trump si sta facendo strada in Europa una rappresaglia sovversiva. Al momento è stata congelata vista la sospensione di tre mesi dei dazi da parte del presidente Usa. Ma l’ipotesi è ancora sul tavolo e più volte a Bruxelles l’hanno definito come il vero bazooka per indurre la Casa Bianca a miti consigli.
Si tratterebbe di tassare l’estrazione di “valore digitale” di un paese esattamente come se si trattasse dell’estrazione di risorse minerarie o combustibili. Si potrebbe farlo con accise digitali.
L’offensiva dazi “America First” di Donald Trump, come si è capito dall’inusuale algoritmo di calcolo, è incentrata sugli scambi commerciali, sullo squilibrio dei flussi “da” e “verso” l’America. Ma se l’export Ue verso gli Stati Uniti è quasi interamente composto di beni – bersagli della fiscalità doganale – sulla rotta atlantica in senso contrario viaggiano soprattutto servizi dematerializzati, digitali, indifferenti alle dogane.
Per colmare questa asimmetria i big dell’Unione, Regno Unito, Francia e Italia hanno varato a inizio 2020 le web tax nazionali che però finora hanno prodotto un basso gettito. Il problema è la determinazione del valore estratto, anche se in realtà il mercato pubblicitario ha da tempo provveduto ad assegnare un prezzo a ciò che viene ceduto apparentemente gratis.
Dunque, quel servizio ha un valore ed è determinato dalla pubblicità, cioè da quanto quel profilo viene venduto sul mercato. Da qui l’ultimo quesito: si può tassare il valore prodotto dalla profilazione di ognuno di noi? A Bruxelles sono convinti di sì.