Un Papa mondialista e ‘pauperista’. Sicuramente oculato nelle scelte di investimento di uno Stato, quello Vaticano, tra i più ricchi del mondo. Un Pontificato ispirato ad un controllo più accurato degli investimenti, dopo gli scandali, la corruzione, le truffe e le accuse di riciclaggio, come insegna il caso controverso del palazzo di Londra.
Sui bilanci hanno pesato i resoconti finanziari in rosso e l’uso spregiudicato dei fondi della Segreteria di Stato. Questo Pontificato si è distinto per un cambiamento nella gestione. Troppo alto il danno d’immagine per non voler recuperare e restituire la Chiesa ai suoi fedeli.
A febbraio 2021 la svolta. Papa Francesco decise di far chiudere tutti i conti in Svizzera, togliendo la cassa proprio alla Segreteria di Stato e trasferendola all’Apsa (acronimo che sta per Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica) che solo a partire da quell’anno, dopo oltre 50 anni di silenzio, comincia a rendere nota una sintesi di bilancio in ossequio ad una maggiore trasparenza voluta dal Pontefice.
Le cose cominciano a cambiare. La Segreteria di Stato si era dimostrata un centro di spesa occulto, che aveva perso il mandato originario ispirato al rispetto della Dottrina Sociale della Chiesa che impone investimenti a basso rischio e comprovato impatto sociale, senza finalità speculative.
Francesco voleva investimenti “da vedove“, senza grandi rendimenti. Questa modalità operativa, finalizzata al solo mantenimento del risparmio accumulato, ha portato, nel 2023, a un fatturato di 27,6 milioni che ha contribuito a recuperare la perdita di 6,7 milioni che c’era stata nel 2022.
Ora tutto è stato accentrato nell’Apsa. E dunque il patrimonio gestito dall’amministrazione diventa ancora più ingente: a fine 2022 valeva circa 2,9 miliardi, suddivisi in due macro-categorie, mobiliare e immobiliare. La prima comprende tutti i titoli azionari, le obbligazioni e le quote di fondi altrui acquistati dall’ente.
Nel 2023 il portafoglio conteneva pochi titoli quotati, molte obbligazioni di breve durata e una quota elevatissima di liquidità (oltre il 50%).
Ancor più redditizia si è rivelata la gestione immobiliare che ha consentito all’Apsa di incassare 35 milioni nel 2023 a fronte di ricavi per 73,6 milioni.
Merito dell’immenso patrimonio della Santa Sede che include oltre 5000 edifici, per una superficie complessiva di circa 1,5 milioni di metri quadri. Il 19,2% degli immobili dell’ente presieduto dall’arcivescovo Giordano Piccinotti è affittato a canoni di libero mercato; il 10,4% a canone agevolato; il 70,4% a canone nullo.
Le risorse controllate direttamente dalla Santa Sede sono stimate in oltre 11 miliardi. Di questi, circa 5 miliardi di euro sono le vere disponibilità finanziarie, mentre 6 miliardi è la cifra con la quale viene stimata la parte immobiliare del patrimonio, considerando solo palazzi e appartamenti non direttamente collegati all’attività istituzionale del Vaticano.
Ma c’è un altro soggetto rilevante nella gestione del patrimonio del Papa. Lo Ior, l’istituto per le opere di religione, conosciuto come la Banca vaticana. A lungo nei suoi conti hanno potuto depositare denaro anche i privati, ma proprio l’azione di riforma di Benedetto XVI e poi di Francesco ha limitato molto le possibilità di operazioni opache. Gestisce i depositi di dicasteri, diocesi e congregazioni religiose, cioè circa 5 miliardi di euro, ma il patrimonio netto che amministra è di 654 milioni di euro.