L’amministrazione Trump ha puntato sull’eliminazione del deficit commerciale degli Stati Uniti come principale obiettivo di politica economica. Si tratta di una scelta sbagliata. In quasi tutti i casi, l’entità del deficit commerciale di un Paese non dovrebbe essere considerata una variabile politica.
I dazi del Presidente Trump sono stati implementati per combattere il deficit commerciale ampio e persistente degli Stati Uniti. L’amministrazione ritiene che questo sia dovuto alle potenze straniere che approfittano degli Usa attraverso pratiche commerciali sleali. Come abbiamo scritto due settimane fa, l’amministrazione si sbaglia su entrambi i fronti. Il deficit commerciale Usa è di origine nazionale ed è facile da finanziare grazie al privilegio degli americani di accedere a capitali a basso costo.
Ora che i dazi sono stati implementati, con la minaccia di altri in arrivo, sulla base di una concezione errata dei deficit commerciali, rischiano di attenuare due grandi avanzi degli Stati Uniti: il loro surplus commerciale nei servizi e il grande surplus di capitale risultante dal deficit commerciale. Non sorprende che il Presidente Trump abbia le labbra cucite riguardo a queste eccedenze.
Surplus commerciale
L’amministrazione Trump ha messo a tacere la storia dei servizi perché gli Stati Uniti registrano costantemente un ampio surplus commerciale nel settore. Nel 2023, infatti, gli Stati Uniti hanno importato circa 750 miliardi di dollari in servizi esteri e hanno esportato oltre 1.000 miliardi di dollari di servizi domestici. Il risultato è stato un surplus di servizi di 250 miliardi di dollari. La storia è stata più o meno la stessa nel 2024, quando gli Stati Uniti hanno registrato un surplus commerciale nei servizi di quasi 300 miliardi di dollari. Quest’anno, nei primi due mesi del 2025, gli Usa hanno registrato un’eccedenza di 50 miliardi di dollari, il che indica che sono di nuovo sulla buona strada per un surplus annuale di 300 miliardi di dollari.
Da dove proviene questo surplus di servizi? La sua componente più importante è quella dei servizi finanziari, un settore che ha generato un surplus commerciale di 130 miliardi di dollari nel 2024. Le banche americane sono presenti in tutto il mondo, in particolare quando si tratta di fornire servizi di consulenza bancaria d’investimento a pagamento a società estere. Nel 2024, infatti, i primi cinque posti per fatturato globale dell’investment banking erano occupati da Goldman Sachs, J.P. Morgan, Morgan Stanley, Bank of America e Citigroup.
I dazi minacciano questo surplus di servizi perché creano incertezza, e l’incertezza colpisce duramente i ricavi dell’investment banking. Ogni anno c’è un numero finito di società sul mercato per i servizi di consulenza su fusioni, acquisizioni o finanziamenti di debito o di capitale – una “torta fissa”, per così dire. Ogni banca compete per una fetta sempre più grande di questa torta. Con una buona dose di incertezza, le aziende hanno più difficoltà a fare i piani a lungo termine, necessari per una fusione o un nuovo ciclo di finanziamento. Di conseguenza, la torta fissa si riduce, i ricavi dell’investment banking anche, e così il surplus dei servizi statunitensi. Stiamo già assistendo al rallentamento di questo meccanismo. Ad esempio, dal Liberation Day del 2 aprile, quando la Casa Bianca ha annunciato le nuove tariffe, società come American Airlines, Delta, Southwest, Diageo e Logitech hanno già smesso di rilasciare forward guidance. Allo stesso tempo, l’attività di dealmaking si è fermata.
I dazi hanno messo a rischio anche il surplus di capitale degli Stati Uniti. Il premio Nobel Milton Friedman ha osservato in un’intervista che “il deficit commerciale non è un deficit. In un altro senso, è un surplus di capitale”. In effetti, il deficit commerciale e il surplus di capitale sono due facce della stessa medaglia.
Il Presidente Trump vuole porre fine al deficit commerciale degli Stati Uniti con le tariffe. Questo è impossibile: l’unico modo per ridurlo è portare i risparmi degli Stati Uniti in linea con gli investimenti, cosa che avverrebbe, ad esempio, se venissero attuate politiche per bilanciare i deficit dei governi federali, statali e locali. Quindi, non solo i dazi inutili per ridurre il deficit commerciale degli Stati Uniti, ma rischiano di eliminare due surplus statunitensi di lunga data: quello dei servizi e quello dei capitali. In questa guerra commerciale, qualsiasi vittoria degli Stati Uniti sarebbe una vittoria di Pirro.
Steve H. Hanke è professore di economia applicata alla Johns Hopkins University e autore, con Leland Yeager, di Capital, Interest, and Waiting. Caleb Hofmann è ricercatore presso il Johns Hopkins Institute for Applied Economics, Global Health, and the Study of Business Enterprise.
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