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Crisi McDonald’s, ora il ceto medio taglia il Big-Mac

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Velasco25 Articolo

Sono lontani i tempi in cui lo scrittore Filippo Di Nardo si opponeva alla tesi denigratoria secondo la quale il Mc-dipendente rappresentasse l’icona del lavoratore sfruttato. Fu uno dei primi a parlare di Mc-Jobs contribuendo anche ad un corto di Gabriele Salvatores che voleva smentire lo stereotipo della catena di montaggio nei fast food della multinazionale americana.

Una campagna che ritraeva un’Italia priva di paura nel rimboccarsi le maniche e lavorare duro. Ma certo quello che sta avvenendo ora dal lato dei consumatori forse suggerisce un cambiamento nello stile di vita e nei consumi. Per ora l’osservatorio privilegiato sono gli Stati Uniti, ma si sa che i cambiamenti partono da lì per poi affermarsi altrove.

“Le persone stanno semplicemente diventando più giudiziose”, ha affermato qualche giorno fa Chris Kempczinski, aggiungendo che alcuni clienti fanno ormai colazione (e pranzo) a casa anziché al McDonald’s, o saltano del tutto questi pasti. La catena, infatti, ha registrato il maggiore calo nelle vendite negli Stati Uniti dal picco della pandemia di Covid-19 di cinque anni fa, poiché l’incertezza causata dai dazi del presidente Donald Trump sta pesando sulla fiducia dei consumatori.

Il giro d’affari è diminuito del 3,6% su base annua nel trimestre conclusosi a marzo a causa del crollo degli ingressi nei ristoranti. Numeri analoghi vengono riscontrati anche da Starbucks, Chipotle Mexican Grill e KFC e Pizza Hut di Yum Brands.

Nonostante la catena di fast food abbia spinto sulle promozioni come il “pasto a 5 dollari” introdotta la scorsa estate e abbia lanciato offerte a tempo limitato come la combinazione di Big Mac, patatine fritte e bibita, sono i consumatori a basso reddito quelli che stanno tagliando le spese.

Si tratta di clienti che percepiscono redditi fino a 45mila dollari all’anno. Anche per la fascia a medio reddito, dai 45mila ai 90mila dollari all’anno, gli ingressi sono diminuiti a un ritmo simile, il che suggerisce una maggiore preoccupazione economica.

Kempczinski attribuisce questa crisi anche all’aumento di un forte sentimento anti-americano, anche se all’estero i volumi sono calati solo dell’1%. Ma in un sondaggio tra i consumatori nei principali mercati mondiali molti hanno segnalato che avrebbero ridotto l’acquisto di marchi yankees, con una crescita di 8-10 punti percentuali del “sentimento anti-americano”, in particolare nell’Europa settentrionale e in Canada.

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