Uno scontro tra due potenze nucleari figlio di una tensione lunga 70 anni. L’attacco missilistico del 7 maggio (all’01.05 ora locale, 9.35 ora italiana) dell’India al Pakistan – denominato ‘Operazione Sindoor’ – è solo l’ultima tappa di un conflitto con radici profonde.
La miccia che ha portato all’escalation è da rintracciarsi questa volta nell’attacco terroristico pakistano del 22 aprile contro un gruppo di turisti Hindu, nel Kashmir indiano, costato la vita a 26 persone. Un atto la cui responsabilità è stata subito attribuita dall’India al Pakistan, accusato di sostenere i gruppi terroristici.
La risposta indiana, fatta di missili e colpi d’artiglieria nel Kashmir pakistano, ha portato alla distruzione di nove campi terroristici e causato la morte di una trentina di persone, tra cui Maulana Masood Azhar, il leader del gruppo terrorista islamista Jaish-e-Mohammed (JeM) attivo in Kashmir. Fortune Italia ne ha parlato con Tiziano Marino, analista del Centro Studi Internazionali (CeSI) responsabile dell’area Asia e Pacifico.
Quella tra India e Pakistan, tornate oggi al confronto militare, è una tensione che dura da decenni. Quali sono le cause?
Alla base dello scontro in corso c’è una tensione che risale addirittura ai tempi della spartizione del 1947, dalla quale sono nate l’India e il Pakistan, che poi hanno combattuto diversi conflitti nel corso della storia. Il più rilevante è sicuramente quello del 1971, da cui poi è sorto il Bangladesh. Oggetto del contendere tra i due Paesi è sempre stato il controllo su questo Stato e sulla regione del Kashmir, divisa sostanzialmente in un’area controllata dall’India, una controllata dal Pakistan e una che negli anni ha subito addirittura il controllo della Cina. Il Pakistan non riconosce, e considera territorio occupato, il Kashmir sotto controllo indiano. Dal canto suo l’India, invece, parla sempre di occupazione riferendosi al Kashmir sotto il controllo amministrativo pakistano.
La risposta indiana di oggi all’attacco terroristico del 22 aprile è stata definita dal premier pakistano “un atto di guerra”. Dobbiamo temere un’ulteriore escalation?
Per l’attentato terroristico del 22 aprile scorso è stato individuato come responsabile, dall’India, il Fronte della Resistenza che sarebbe legato ai gruppi jihadisti con base in Pakistan: negli anni, infatti, la militanza in Kashmir ha adottato strategie e caratteristiche di tipo jihadista e quindi attacchi di questo tipo non sono nuovi. L’India, da un po’ di tempo a questa parte, riconduce gli attentati direttamente al Pakistan e per questo ha risposto. Lo ha fatto però in modo relativamente limitato, sia per portata dell’operazione sia per obiettivi colpiti.
Perché limitato?
Proprio per evitare un’escalation con un altro Stato che possiede arsenali nucleari. Non è intenzione di nessuno dei due Paesi provocare una guerra aperta che avrebbe delle conseguenze a dir poco imprevedibili.
Come diceva, i due Paesi sono già stati protagonisti di diverse guerre. Questa le sembra diversa?
In realtà al momento siamo di fronte a una sostanziale riproduzione di schemi già visti in passato. Anche se la risposta indiana è leggermente più ampia rispetto a quanto avvenuto per esempio nel 2016 e nel 2019. Per capire come evolverà e se ci sarà un’escalation, bisogna comprendere cosa farà ora il Pakistan: qualora decidesse di attaccare direttamente le postazioni militari indiane, lì saremmo in territorio ignoto.
L’India sostiene che il gruppo armato islamista responsabile degli attacchi sia aiutato e sostenuto dal Pakistan, che ha sempre negato le accuse. È così?
Ad oggi, sull’attacco del 22 aprile manca una vera e propria rivendicazione, quindi il dibattito su questo punto è ancora aperto. Tuttavia, tradizionalmente, la militanza kashmira è sempre stata appoggiata dal Pakistan, con alcuni gruppi – anche di matrice jihadista – che risiedono storicamente in territorio pakistano. L’India accusa gli apparati di sicurezza pakistani di supportare finanziariamente, e anche in termini di training e di armi, proprio questi gruppi. Tutto questo non è una novità. L’elemento nuovo, se vogliamo, è che da qualche anno a questa parte ogni volta che c’è un attacco terroristico nel Kashmir indiano, l’India non accetta più la narrativa dei miliziani scollegati dal governo di Islamabad, ma riconduce l’attacco al governo pakistano.
Quali sono le principali differenze tra i due Paesi a livello militare?
L’India dispone di un budget assolutamente più alto e di strumenti convenzionali maggiori. Si considera così una certa superiorità indiana, anche se, dato che i due Paesi non partecipano a grandi scontri aperti da diversi anni, non sappiamo effettivamente come le cose potrebbero andare. Tuttavia, guardando alla questione da un punto di vista quantitativo, il confronto è impari.
L’attacco è circondato da quella che lei stesso ha definito altrove una “grande nebbia informativa”.
La nebbia informativa è relativa fondamentalmente a tutto ciò che è accaduto dal 22 aprile in poi. Ciò è dovuto al fatto che entrambi gli attori coinvolti si avvalgono gli strumenti di disinformazione, soprattutto sui social media. C’è moltissima propaganda e circola un numero enorme di fake news, per cui è molto molto difficile reperire informazioni in questa fase. Anche questa comunque non è una novità: studiando il conflitto tra l’India e il Pakistan molto spesso ci si scontra con due diverse versioni e spesso mancano testi o dati certi .
Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani oggi commentando la vicenda ha dichiarato: “Mi auguro che siano stati solo episodi”. Secondo lei si può ancora parlare di episodi?
Stando a quello che vediamo oggi, possiamo ancora parlare – o quantomeno augurarcelo – di episodi isolati. Tuttavia la rivalità tra questi due attori è profonda e radicata. Non esistono al momento soluzioni di carattere politico a questo scontro: i due Paesi non si parlano e non cercano punti di incontro. Questo è l’elemento che dovrebbe preoccupare. Se la storia si concludesse oggi comunque, potremmo dire di aver assistito sostanzialmente a una ripetizione di schemi passati. Non credo che nessuno dei due attori voglia uno scontro aperto, anche se molto dipenderà dalla risposta pakistana.
Che ruolo avranno gli Stati Uniti?
Gli Stati Uniti, anche nelle crisi passate, hanno quasi sempre svolto un ruolo decisivo. Gli americani godono infatti della stima di entrambi gli attori: il Pakistan non vuole perdere i rapporti, mentre l’India è il loro nuovo partner privilegiato in Asia. Le mosse diplomatiche di Washington in questa fase saranno fondamentali, come lo sono state in passato. L’amministrazione Trump non vuole assolutamente un’escalation nella regione tra due Stati nucleari.