“Le recenti azioni dell’amministrazione statunitense avranno sicuramente un impatto sull’economia europea e anche se le tensioni commerciali si attenuano, è probabile che l’incertezza permanga e agisca da vento contrario per gli investimenti nel settore manifatturiero dell’Ue”, ha parlato così l’ex premier Mario Draghi, in occasione del XVIII summit sull’innovazione Cotec Europa, a Coimbra.
L’Ue di fronte ai dazi Usa
Nel corso della sua esposizione, Draghi ha evidenziato come per l’Europa, nel breve periodo, sia praticamente impossibile diversificare il proprio export rispetto agli Stati Uniti, un partner commerciale che comunque rimane difficilmente sostituibile.
“Gli Stati Uniti sono responsabili di quasi due terzi del deficit commerciale globale di beni. Anche le altre due maggiori economie, Cina e Giappone, registrano persistenti avanzi dalle partite correnti. Dovremo quindi trovare un accordo con gli Stati Uniti per mantenere aperto il nostro accesso”, ha detto l’ex presidente della Bce, nonché autore del report sulla competitività redatto per conto della Commissione europea. Tuttavia sarà complesso riportare i rapporti con Washington alla normalità, dopo la rottura unilaterale prodotta da Trump, da questo presupposto Draghi è tornato sulla necessità che l’Ue ha di dipendere sempre meno dagli Usa.
Gli errori della politica economica europea
Draghi ha voluto soffermarsi anche su quelli che, secondo lui, sono stati gli errori vitali commessi dall’Unione europea. Il primo, tra quelli evidenziati, è stato “la politica di bilancio restrittiva. Dal 2009 al 2019, la posizione fiscale collettiva corretta per il ciclo nell’area dell’euro è stata in media dello 0,3%, rispetto al -3,9% degli Stati Uniti.”
Questo avrebbe pregiudicato il consolidamento degli investimenti pubblici, scesi di quasi un punto percentuale rispetto al Pil senza recuperare il livello pre-crisi almeno fino allo shock della pandemia.
Un altro errore, invece, riguarda la maggior attenzione alla competitività esterna, rispetto alla produttività interna. “Dal 2000, la crescita annuale della produttività del lavoro nell’Ue è stata appena la metà di quella degli Stati Uniti, causando un divario cumulativo di produttività di 27 punti percentuali nell’intero periodo. Ma invece di cercare di invertire la tendenza della produttività, abbiamo adattato le nostre politiche del lavoro ad essa. Soprattutto dopo le crisi, abbiamo fatto uno sforzo deliberato per sopprimere la crescita dei salari e aumentare la competitività esterna”. La conseguenza è stata una produttività che ha proceduto lentamente e salari che hanno stentato a crescere, mentre negli Stati Uniti i salari reali sono aumentati di 9 punti percentuali.
Il debito comune e le politiche di difesa
“L’Ue ha riformato le sue regole fiscali e ha attivato la ‘clausola di salvaguardia’ per facilitare l’aumento delle spese per la difesa. Ma finora solo 5 dei 17 Paesi dell’area dell’euro, che rappresentano circa il 50% del Pil, hanno optato per un periodo di aggiustamento prolungato”, ha proseguito.
“Quando il debito è già elevato, l’esenzione di categorie di spesa pubblica dalle regole di bilancio può arrivare solo fino a un certo punto. In questo contesto, l’emissione di debito comune dell’Ue per finanziare la spesa è una componente chiave della tabella di marcia”.
Parlando di difesa, inoltre, Draghi ha evocato la necessità di ridurre la frammentazione del settore nel Continente. Un ennesimo richiamo a un piano di difesa comune che punti sull’interoperabilità dei mezzi militari prodotti e sulla creazione di un cyberspazio europeo con investimenti in tecnologie digitali comuni.
In questo senso, l’ex premier ha evidenziato la necessità di un maggior coinvolgimento del settore privato, evidenziando che mentre negli Usa gli investimenti in difesa sono equamente ripartiti tra pubblico e privato, in Europa questi sono per l’80% in mano al pubblico. “Questo porta a sua volta a grandi inefficienze, come il principio del ritorno geografico che frammenta il settore spaziale europeo e che, avendo ostacolato il progresso per decenni, dovrebbe essere abbandonato”.
Intelligenza artificiale e innovazione
“Con l’avanzare delle ‘rivoluzioni’ del cloud computing e dell’intelligenza artificiale, l’Europa si è ritrovata tagliata fuori. Eppure abbiamo continuato a creare un ambiente che ostacola l’innovazione radicale”. Ha detto, sottolineando anche come la frammentazione del mercato unico europeo sia stata di ostacolo per le startup tecnologiche nel Continente.
“Le nostre politiche di concorrenza non sono state in grado di adattarsi alla natura della trasformazione tecnologica che stava avvenendo davanti ai nostri occhi. Tra gli altri cambiamenti, l’innovazione avrebbe dovuto giocare un ruolo maggiore nelle decisioni sulla concorrenza”.
Ha poi criticato l’approccio regolatorio dell’Unione europea, basato su motivazioni fondate come la protezione dei consumatori ma che non ha tenuto conto delle piccole imprese tecnologiche europee che, al contrario dei ben più grandi competitor statunitensi, hanno avuto maggiori difficoltà ad adeguarsi alle regolamentazioni.
“Ora, ci troviamo di fronte a un quadro normativo che risulta eccessivo in alcune delle aree chiave e, peggio ancora, frammentato. Ci sono oltre 270 regolatori attivi nelle reti digitali in tutti gli Stati membri”.
L’energia e la sopravvivenza dell’industria europea
Un altro tema di straordinaria rilevanza che Draghi ha affrontato nel corso della sua esposizione, riguarda la necessità di trovare soluzioni per abbattere i costi energetici, in modo da salvare l’industria europea, ridurre i costi per le famiglie e proseguire lungo la strada della decarbonizzazione.
In questo senso, l’ex premier ha delineato tre linee d’azione. La prima riguarda la realizzazione di un grande piano di investimenti europeo per costruire reti e interconnessioni in grado di rendere una rete energetica, attualmente basata sulle rinnovabili, adatta alla transizione cui l’Europa aspira.
“In secondo luogo, dobbiamo riformare il funzionamento del nostro mercato energetico, lavorando per allentare il legame tra i prezzi del gas e delle rinnovabili. È scoraggiante vedere come l’Europa sia diventata ostaggio di interessi consolidati”. In questa direzione, Draghi ha fatto riferimento alla task force sulla trasparenza, creata dalla Commissione europea, per avviare un’indagine indipendente sul funzionamento complessivo dei mercati energetici europei.
Infine, Draghi ha evidenziato, come terza linea d’azione, la necessità di trovare altre fonti energetiche da affiancare alle rinnovabili, prendendo in considerazione tutte le fonti di energia pulita e essendo “neutrali nei confronti delle nuove soluzioni energetiche”.
Investire nell’Ue
Il discorso di Draghi ha fatto riferimento allo stato di crisi dell’Unione europea, una crisi che coinvolge tanto la crescita quanto i valori che hanno animato l’Unione.
“Stiamo assistendo a grandi rotture istituzionali. Lo shock politico degli Stati Uniti è enorme. A questo è corrisposto un completo cambiamento di rotta in paesi come la Germania e una nuova determinazione della Commissione ad affrontare le barriere e la burocrazia. E abbiamo l’inizio di un piano d’azione, fornito dalle recenti relazioni. I loro consigli politici sono diventati oggi, se possibile, ancora più urgenti”.
Draghi ha così lanciato un nuovo appello a ‘investire nell’Europa’. “Affronteremo gli interessi acquisiti che attualmente bloccano il nostro cammino verso un futuro basato sull’innovazione piuttosto che sul privilegio. E proteggeremo e preserveremo la nostra libertà”.