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Le imprese e il “lato umano” che salverà il lavoro

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Se nel mondo solo una persona su quattro si sente coinvolta e partecipe al lavoro (come recita un sondaggio Gallup), c’è qualcosa che non va nelle nostre imprese. Eppure ci sono anche tante esperienze positive, tanti esempi di come un’azienda possa essere anche il miglior luogo per garantire alle persone il “bisogno”, e non solo il diritto, di lavorare. Esempi raccolti in un libro da Francesco Limone, docente di Leadership e Communityship alla 24ORE Business School, editorialista per Fortune Italia. “Il lato umano dell’impresa” racconta un cambiamento radicale, che passa attraverso una trasformazione profonda dei modelli alla base del lavoro e delle organizzazioni odierne.

“Il lavoro non è solo stipendio, è un bisogno. È sopravvivenza. Serve a ricostruire la propria dignità e a dare identità”, ha dichiarato Limone durante la presentazione del libro, alla quale ha collaborato Fortune Italia, ospitata in un luogo che da solo racconta il dialogo tra passato e futuro: l’Harry’s Bar Trevi Hotel & Restaurant, affacciato sulla Fontana di Trevi e custode, sotto le sue fondamenta, di un sito archeologico con una domus d’età imperiale e il castellum aquae dell’Acquedotto Vergine.

Ad accompagnare il professore diversi ospiti, con la moderazione di Alessandro Pulcini, giornalista di Fortune Italia: Gianmatteo Manghi, AD di Cisco Italia, Filippo Giordano, professore ordinario di Economia aziendale dell’Università Lumsa, Luciana Delle Donne, fondatrice di Made in Carcere. Presenti anche Luca Macario, head of communication del Gruppo Cremonini (che ha ospitato l’evento) e Simone Budini, docente di sostenibilità e co-founder, insieme a Francesco Limone, di Humanistic ESG società benefit.

Esempi concreti, dicevamo: dall’impegno nel sociale di Made in Carcere, alle iniziative di Cisco, gli ospiti hanno ricordato come la formazione di una vera comunità aziendale porti benessere non solo individuale, ma collettivo.

Nel libro di Limone vengono raccolti casi studio e testimonianze di come le imprese possano diventare comunità generative, dove le persone esprimono pienamente il proprio potenziale. È davvero possibile superare la logica del puro profitto? Secondo l’Ad di Cisco il punto è raggiungere un equilibrio: un’azienda deve poter realizzare un profitto positivo per remunerare gli investitori, deve produrre beni e servizi che rispondano a esigenze di mercato e deve, rispettare le persone che lavorano nell’organizzazione e remunerare il loro lavoro in modo ragionevole. Sono questi alcuni dei fattori “che consentono la sopravvivenza di un’azienda”.

Per rovesciare la prospettiva, basta andare a guardare cosa succede quando si crea una comunità d’impresa lì dove prima non c’era nulla, come racconta Delle Donne parlando dell’esperienza di Made in Carcere, che è un vero e proprio brand. “Le persone che lavorano in carcere non ci tornano più: noi abbiamo zero recidiva con tutte le persone che hanno lavorato con noi, mentre viaggia dal 60 al 70% per le persone che non hanno un’esperienza di lavoro in carcere”.

“Il fenomeno organizzativo è fatto dalle persone, per le persone”, dice Giordano. E se da una parte l’impresa soddisfa i “bisogni di socialità, di autorealizzazione che individualmente le persone non sono in grado di realizzare”, questo si collega con un altro elemento centrale: il finalismo dell’impresa stessa. Che è “benessere economico”, ma anche “progresso civile. E questo ha a che fare con i diritti, ha a che fare con un modello sostenibile di società, a che fare con la qualità delle relazioni”.

Riportando tutto nella cornice della concezione ‘umana’ dell’impresa, il panel ha fatto emergere proprio la forza delle relazioni, evidenziando come i legami fondati su passione, amicizia e valori condivisi possano fungere da pilastri. La fiducia e il sostegno reciproco sono ingredienti essenziali per affrontare le sfide di un mondo in continua trasformazione. Anche mentre viene rivoluzionato il modo di lavorare, non si dovrebbe mai perdere di vista l’elemento umano.

“Quando il lavoro non è più espressivo della persona, perché non comprende più il senso di ciò che sta facendo, diventa servitù”, scrive Limone nel suo libro. “L’agire diventa sempre più transitivo e la persona può essere sostituita da una macchina quando ciò risultasse più vantaggioso. Occorre dunque vigilare perché lavoro giusto e lavoro decente non vengano mai disgiunti se si vuole andare oltre l’idea sfortunata secondo cui il lavoro umano è una merce, per la quale esiste un apposito mercato”.

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