“Noi eravamo letteralmente soli, io e Valentino”, dice così a Fortune Italia l’uomo che è stato l’anima imprenditoriale della maison che ha fatto sognare le donne di tutto il mondo. Lui, Giancarlo Giammetti, ricorda gli inizi di una straordinaria storia italiana: “Io ero un giovane studente di architettura, digiuno di bilanci e strategie aziendali. Eravamo talmente soli che usavamo oculatezza in ogni dettaglio, io misuravo i metri di tessuto per evitare gli sprechi”.
Giammetti, lei e Valentino Garavani siete stati legati da una storia d’amore decennale e da un sodalizio imprenditoriale per oltre cinquant’anni. Avete fondato insieme, nel 1960, una maison che è diventata ambasciatrice dell’Italia nel mondo. Quando si è reso conto che quel ragazzo, conosciuto in un caffè di via Veneto, non era un designer qualunque ma un vero fuori classe?
Valentino tornava da Parigi, mi parlava in francese, cosa che fa ancora oggi. Aveva una grande considerazione di sé, era determinato e instancabile. Agli inizi avevamo poche risorse, prestavamo attenzione a tutto, ma Valentino non si è affacciato al mondo della monda con modestia. Era consapevole delle proprie doti, pensava in grande. Lei pensi che a Roma aveva scelto una sede enorme nella centralissima via Condotti, con un impegno certamente al di sopra delle nostre possibilità dell’epoca. Oggi in quell’appartamento abbiamo stabilito la sede della nostra Fondazione.
La Fondazione Valentino Garavani – Giancarlo Giammetti, fondata nel 2016: qual è la mission?
Abbiamo uno scopo filantropico, con un’attenzione speciale per bambini e anziani. Aiutiamo molte famiglie in difficoltà, finanziamo la realizzazione di ospedali e gli acquisti di macchinari in collaborazione con importanti istituzioni del nostro Paese.
A fine maggio inaugurerete lo spazio PM-23, a pochi passi da piazza di Spagna.
Negli spazi di PM-23 in piazza Mignanelli, dove tutto è iniziato, vogliamo far rivivere la memoria della straordinaria creatività di Valentino, favorendo anche la formazione delle nuove leve e, in generale, di chi è appassionato di bellezza e arte. È un modo per trasmettere la legacy mia e di Valentino, non solo nella moda ma nella vita.
Partendo da quali insegnamenti?
Da Valentino io ho imparato che serve una misura in tutte le cose. Non parlo dei centimetri di stoffa ma del senso di continenza, di quella norma non scritta che ti porta a fare ciò che devi senza andare oltre. È un limite invisibile che dovrebbe guidare ciascuno di noi, ogni giorno.
La moda contemporanea ha il senso della misura?
A volte non lo vedo, mi sembra che si ponga un’enfasi esagerata nella comunicazione, che oscura spesso la sostanza delle cose. E poi c’è una voglia smisurata di sorprendere, di provocare a ogni costo, creando abiti che vanno bene forse per una sfilata ma che nessuno indosserebbe nella vita di ogni giorno.
L’opposto del Valentino-pensiero.
Esatto, Valentino diceva sempre: io faccio abiti non per la passerella ma per la vita. In fondo, che cos’è una passerella? Dodici metri di legno.
Le piacciono le gonne da uomo? È una tendenza ‘genderless’.
Io non ne vedo in strada, e spero di non vederne.
Alessandro Michele, attuale direttore creativo di Valentino, non sembra avere molto in comune con il fondatore della maison.
So che, all’indomani della sua nomina, ha chiesto di visionare l’intero archivio di Valentino. Penso che Michele sia un genio, ha uno stile creativo molto definito, posso non condividerlo ma è il suo.
Roma resta l’epicentro dell’universo Valentino.
Proprio così, siamo tornati a vivere nella capitale. Chiudiamo il cerchio dove tutto ebbe inizio.
Avete mai subito il fascino di Milano?
Francamente no, la nostra base è sempre stata a Roma, Milano la conosciamo pochissimo. Che fosse Elizabeth Taylor o Jacqueline Kennedy, le nostre clienti ci raggiungevano volentieri per le sfilate, forse perché era anche un modo per una visita nella Capitale. A Milano la moda è esplosa successivamente, negli anni Settanta, con Giorgio Armani.
I rapporti con re Giorgio?
All’inizio qualche ripicca c’è stata, un po’ di competizione tra due grandi in carriera. Oggi i rapporti sono eccellenti, le rispettive segreterie sono sempre in contatto.
Dopo la vostra fuoriuscita, la maison ha cambiato più volte proprietario, oggi fa parte del gruppo qatariota Mayhoola e, per il trenta percento, del colosso francese Kering. Come avete vissuto questa saga di compravendite?
All’inizio abbiamo pensato che avere un partner finanziario potesse aiutarci nella crescita del brand ma presto Valentino si è trovato a dover gestire rapporti difficili e a occuparsi di questioni che fino a quel momento io gli avevo sempre evitato, per consentirgli di dedicarsi completamente all’arte. Quando ci siamo resi conto che la situazione non era più sostenibile, abbiamo preferito fare un passo indietro.
Ha qualche rimpianto?
Nessuno.
Le piacciono i social network?
Ho un account su Instagram ma il mio social preferito resta X, l’ex Twitter. Preferisco le parole al profluvio di immagini.
Le fa paura Elon Musk?
Non l’ho mai conosciuto.
Molti nomi del Made in Italy, oggi, non sono più in mani italiane. Un’esperienza in controtendenza è la recente acquisizione di Versace da parte del gruppo Prada.
È una buona notizia, con Prada anche un marchio che attualmente naviga in acque difficili potrebbe ritrovare una nuova vitalità e una vera occasione di rilancio. In generale, la finanza ha assunto un ruolo preponderante nel mondo del fashion, non c’è da stupirsene né da dannarsene, è un fatto che tante produzioni hanno lasciato il nostro Paese.
L’Italia resta pur sempre la seconda manifattura d’Europa.
Forse lo sprint di un tempo non tornerà più, ma non tutto è peggio di ieri. Per molti versi, anche grazie ai social media, oggigiorno è più facile per un giovane talento farsi strada, farsi conoscere. L’Italia ha una forza straordinaria che è la sua artigianalità. La nostra capacità di creare, con le mani, ci rende una potenza a livello mondiale. Siamo imbattibili.
Che cosa consiglierebbe a un giovane che sogna il successo?
Di credere in se stesso, di seguire il proprio intuito, anche contro le mode del momento. Guai a lasciarsi influenzare dalle critiche o da quello che vedi nelle sfilate. Ragiona con la tua testa e tira dritto, da qualche parte arriverai.
L’articolo originale è stato pubblicato sul numero di Fortune Italia del maggio 2025 (numero 4, anno 8)