Recupero di tessuti difficili da smaltire, inclusione sociale e valorizzazione del patrimonio artistico italiano: la storia delle shopper BigBag raccontata da chi le ha ideate.
In principio era una Frakta Ikea. Poi, grazie alla creatività di una donna milanese con un’esperienza di oltre trent’anni nel mondo del fundraising culturale, è diventata BigBag: una borsa dal fondo blu rivestita con tessuti recuperati dalle imprese tessili e prodotta dai lavoratori di due cooperative sociali tra Verona e Milano. All’insegna non solo del riciclo, ma anche della cultura italiana.
“Tutto nasce una sera in campagna, nel 2021, quando quello che sarebbe diventato poi il mio compagno per alcuni anni viene a trovarmi portandosi dietro, come bagaglio, una borsa blu dell’Ikea” (sì, proprio una di quelle da 0,75 euro realizzata al 60% in plastica riciclata).
A riavvolgere il nastro è Alessandra Pellegrini, fondatrice del marchio BigBag, alle spalle una lunga carriera nel mondo della raccolta fondi. L’idea di aggiungere uno strato di stoffa su uno degli oggetti-simbolo del nostro tempo – basti pensare che nel 2017 Balenciaga decise di ‘imitarla’ proponendone la propria versione extralusso da 1.700 euro – è sua.
E arriva come soluzione all’eterna questione del cosa regalare per Natale alla persona amata: “A una certa età sembra che nessuno abbia bisogno di niente, così ho pensato a una Frakta ricoperta. Ho preso i tessuti che avevo in casa, li ho portati dal mio sarto e gli ho chiesto di foderare la borsa sia all’interno che all’esterno”. Non completamente però: “Per renderla più pratica non ho fatto rivestire il fondo, in modo che buttandola per terra non si sarebbe rovinato il tessuto”.
Ed ecco pronta quella che Pellegrini definisce la borsa “numero 0“, in grado di incantare amici e parenti non appena scartata. “Sono stati i miei figli i primi a incoraggiarmi, anche se all’inizio ero scettica e non avevo troppa voglia di mettermi a fare altre borse”, confessa Pellegrini.
La svolta arriva a seguito di una serie di incontri fortuiti con alcuni imprenditori del tessile: “Ho scoperto che quello dello smaltimento dei tessuti, specie provenienti dall’arredamento di lusso, è un tema enorme per il settore, perché oltre ad avere costi elevatissimi praticamente non lo fa nessuno. Così ho ripensato al progetto e mi sono detta: perché non provarci?”.
Per dare una nuova vita a queste eccedenze, Pellegrini ha avviato la sua Srl nel luglio del 2024 – “il tempo di una maternità”, ironizza – con un investimento iniziale di 100mila euro. Qualche altro esperimento di produzione, però, c’era già stato e aveva avuto successo, anche grazie alle precedenti relazioni lavorative.
“Il mio primo mercatino è stato al Museo Diocesano: è andata benissimo perché sono arrivata lì con le mie 80 borse e le ho vendute tutte, destinando poi la raccolta fondi all’associazione Amici di Edoardo”, impegnata nella lotta al disagio giovanile.
Oggi il progetto prosegue nell’intento di coniugare slow fashion, inclusione sociale e sostegno alla cultura tricolore. I tessuti recuperati dai magazzini di storiche aziende italiane come Rubelli, Mantero o TMB Group vengono assemblati dai lavoratori di due cooperative italiane – la veronese Progetto Quid, che offre opportunità di formazione a persone a rischio di esclusione sociale, in particolare donne, e la milanese Cooperativa Alice, impegnata principalmente nelle carceri lombarde – per garantire un “lavoro retribuito a persone che ne hanno bisogno”.
BigBag collabora inoltre con Ethicarei, la prima filiera etica del made in Italy garantita dal WFTO. I manici delle borse sono invece realizzati da Flex Tex, affermata realtà artigianale italiana con oltre 70 anni di esperienza nel mondo dei nastri tessuti per il settore della calzatura e moda. E poi c’è la valorizzazione del patrimonio artistico del nostro Paese.
Da poco BigBag ha presentato due nuove capsule collection in collaborazione con Grande Brera e Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano. Il design delle borse anche in questo caso è reso funzionale dal fondo in plastica e dal doppio manico, mentre i tessuti sono forniti da Rubelli. Le collezioni prendono ispirazione dai capolavori esposti nella Pinacoteca, dal Loggiato, dall’Orto Botanico, dall’eleganza senza tempo di Palazzo Citterio, dalla Biblioteca Braidense e dall’architettura gotica della Cattedrale, con tinte che ricordano il rosa del marmo di Candoglia e le sfumature delle guglie.
“Il mio sogno è che questa borsa diventi proprio come la Frakta Ikea: un’icona che gira per il mondo e dà lavoro a tante persone. Raccontando però anche l’arte italiana“.
E, a questo proposito, quando le chiediamo degli obiettivi per il prossimo futuro, Pellegrini recupera il suo passato: “Vorrei arrivare a donare il 5% dei ricavi al mondo della cultura come ho sempre detto di fare agli imprenditori con cui mi relazionavo. Investire in quest’ambito penso sia un gesto di sano egoismo: la cultura infatti sta alla società come il concime al terreno“.
Alla fondatrice di BigBag, per sua stessa ammissione, piace sognare in grande. “Entro la fine dell’anno mi sono posta l’obiettivo folle di vendere 3mila borse. E poi siamo già a lavoro sia su una versione ‘small’ del modello attuale, che su una ‘Wine BigBag’, un oggetto sempre più richiesto per portare a casa il vino avanzato al ristorante”.
L’articolo originale è stato pubblicato sul numero di Fortune Italia del maggio 2025 (numero 4, anno 8)