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Innovazione aziendale, il ruolo dei Dati e dell’AI

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Velasco25 Articolo

Sono più di un terzo le organizzazioni che guardano alla tecnologia per emergere rispetto alla concorrenza. Le aziende che registrano le migliori performance economiche sono quelle che sviluppano strategie digitali più audaci e destinano i maggiori investimenti in tecnologie emergenti, come l’intelligenza artificiale e l’analisi dei dati.

La vera età dell’oro è oggi, ed è quella dei dati. Sono sempre più importanti, anche alla luce dei macro trend di intelligenza artificiale generativa che li utilizza per il training degli algoritmi. Dati e innovazione, quindi, sono strettamente connessi, e le aziende devono prendere sempre più coscienza di questo processo. Per comprenderne più a fondo i meccanismi, Fortune Italia ha intervistato Raffaele Gigantino, Country manager di VMware Italia

C’è una dinamica che lega l’analisi dei dati con la capacità di innovazione di un’azienda?

Le aziende aspirano a essere innovative, all’avanguardia, ma molte faticano a convertire le idee in prodotti e servizi tangibili e d’impatto, in tempi rapidi. È il ‘divario tra innovazione ed esecuzione’. Un gap che potrebbe essere il motivo per cui molte aziende non riescono a sopravvivere nell’attuale panorama competitivo. Secondo McKinsey, più di un terzo delle organizzazioni guarda alla tecnologia per creare una distanza strategica tra sé e i concorrenti. I dati oggi sono strumento fondamentale per le aziende per poter innovare, e sempre più importanti in un’ottica in cui ai dati si applica intelligenza artificiale generativa che crea linguaggio umano, e questo oggi dà una potenza ai dati sempre maggiore. Le organizzazioni che desiderano colmare il divario tra le idee e la loro realizzazione, utilizzando i dati a disposizione, dovrebbero rivolgere la propria attenzione ai cloud, strategici perché consentono di immagazzinare enormi quantità di dati  che vengono poi processati. È il cloud che ha permesso questo tipo di trasformazione.

“Le startup giocano a poker, le grandi aziende giocano a scacchi”. È ancora valida oggi questa frase di Don Dodge di Google? Perché le aziende, grandi e piccole, hanno bisogno di diventare sempre più ‘data confident’?

I dati sono strategici per definire la prossima mossa. Le nuove aziende giocano una partita più veloce, perché usano dati e insight per trasformare un’idea in un’opportunità di crescita. È chiaro che le startup non hanno tecnologie legacy, possono costruirsi nuove applicazioni, realizzare modelli di business partendo da zero. Le grandi aziende vengono da un contesto diverso, hanno fatturati importanti, business di rilievo, ma devono sfruttare le nuove tecnologie per rinnovare o andare su nuove fette di mercato. È ovvio che siano più lente delle startup in questo senso. Per fare un esempio concreto, pensiamo alle fintech: non hanno tutte le problematiche di regolamentazione e quindi forniscono il servizio a costi bassi, modalità che non può essere perseguita dalle grandi aziende, che cominciano a sperimentare delle opzioni per sfruttare questi trend ed essere più competitive.

I dati Ue parlano di un 77% delle organizzazioni che non trovano personale con adeguate competenze digitali. C’è quindi un digital gap che non è solo geografico, ma anche generazionale?

Quando parliamo di competenze, ce ne sono di due tipi: diffuse, dei dipendenti, ma anche quelle dei responsabili aziendali. Il ‘long life learning’ va fatto a tutti i livelli, fino ai vertici, è una delle cose che ho sperimentato su me stesso: ho voluto fare un percorso di reverse mentorship con una neo assunta di 24 anni, esperta in comunicazione. La nostra azienda deve saper parlare a questi target, e deve usare una comunicazione adatta.

Transizione verso il ‘confidential computing’, di cosa si tratta, e perché è necessaria?

Le protezioni di sicurezza uniformi basate sul ‘confidential computing’ saranno sempre più rilevanti nel multi-cloud. Un’azienda di tecnologia non ha interesse a mettere a disposizione il proprio patrimonio informativo per addestrare l’intelligenza artificiale, perderebbe il suo vantaggio competitivo. Si va quindi nella direzione della private generative AI, un approccio in cui le aziende che costruiranno modelli per addestrare l’AI sui propri dati non li condivideranno, per preservare i segreti industriali che ne garantiscono la competitività. Il ‘confidential computing’ va in questa direzione: ovvero nella creazione di ambienti privati dove fare training di intelligenza artificiale.

Attacchi informatici, vedi quanto accaduto all’ospedale Vanvitelli di Napoli. C’è un consiglio da dare per consentire di mettere al sicuro i sistemi di storage di dati, soprattutto se custodiscono dati sensibili?

Le organizzazioni di oggi, moderne e distribuite, hanno bisogno che la sicurezza sia ‘ovunque’ ovvero non solo integrata, ma costruita in modo diverso. L’approccio vincente è lo Zero Trust: la fiducia implicita è una vulnerabilità e la sicurezza va progettata partendo dal principio ‘non fidarsi mai, verificare sempre’. Nella sua forma più semplice, l’approccio zero-trust limita l’accesso alle risorse IT utilizzando processi di verifica delle identità e dei dispositivi applicati in modo rigoroso. L’azienda deve quindi pianificare, sempre, costi in sicurezza e investimenti in tecnologia.

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