La seconda presidenza Trump è la fine del sogno democratico: migliorare il mondo a ogni costo, guerre comprese. L’american dream adesso è casalingo.
“Yankee go home” è stato per alcuni decenni del secolo scorso uno degli slogan più urlati, e impallidito fino a cadere in disuso con il progressivo diminuire della capacità americana di affrontare, e ancora di più di risolvere, i problemi del mondo, contenerne le crisi, o aprirle, se serviva. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca segna forse l’archiviazione definitiva per quello slogan.
Il Trump I non fu avventuroso: fermo appoggio a Israele (ha spostato l’ambasciata Usa a Gerusalemme), confronto duro con l’Iran (l’uccisione del generale Soleimani, il padre dell’anello della resistenza islamica è stato voluta da Trump), dialogo con il mondo sunnita – Accordi di Abramo – contenimento della Cina innanzitutto a livello mercantile con dazi e intralci alla Via della Seta.
La guerra in Ucraina? Era in corso come guerra civile dal 2014, e la presidenza Trump se n’è occupata solo per denunciare gli affari della famiglia Biden.
Adesso può risolverla in ventiquattro ore, come ha millantato? No, ma è probabile – e a maggior ragione con un cambio della maggioranza al Senato americano – uno stop alla spesa senza fine per l’Ucraina, in assenza di una credibile exit strategy. Ciò obbligherebbe Zelensky a smettere di cercare il coinvolgimento della Nato, e a trattare in condizioni di debolezza, sul terreno.
Così facendo Trump raggiungerebbe più obiettivi: essere padre di un cessate il fuoco, lasciare la patata bollente della crisi ucraina all’Europa che ne ha fatto una trincea della democrazia, con un solo obiettivo, la vittoria. Mettere la Nato davanti alle sue responsabilità, senza il decisivo e costoso patrocinio americano, e strattonata dalle smanie di Macron, dall’interventismo britannico, dalle spinte dei neofiti scandinavi e dalle legittime paure baltiche e polacche. Vorrebbe dire lasciare campo libero e alloro di vincitore a Putin? Difficile che la Russia, esausta, vada più in là di parate per la vittoria. Più facile che la fine del conflitto schiodi Mosca dalla sudditanza politica e militare nei confronti della Cina, della Corea del Nord, dell’Iran, restituendola a un ruolo più manovriero, mentre le sanzioni continueranno a far molto male all’Europa e un po’ a Mosca, e niente agli Stati Uniti.
Israele avrà mano libera e la questione palestinese sarà imposta non da una Casa Bianca terzomondista, ma dalla normalizzazione dei rapporti con l’Arabia Saudita, longa manus dei repubblicani nella regione (a Riyad non dimenticano i discorsi di Obama al Cairo, e l’appoggio alle primavere arabe). Dunque, guerre commerciali con la Cina, isolamento dell’Iran, Europa obbligata a diventare adulta e molta attenzione al fronte interno, immigrazione, sicurezza, economia: la cultura woke non sfonda in Pennsylvania. Forse gli americani sono tornati a casa.