Talvolta accadono fatti apparentemente slegati fin quando qualcuno non s’incarica di metterli in fila. Stamane, in occasione della inaugurazione dell’anno giudiziario del Consiglio nazionale forense, il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano è intervenuto rivolgendosi agli avvocati, certo, ma in realtà al sistema giudiziario nel suo complesso.
“Quello che oggi è in gioco – ha scandito il Sottosegretario, che è anche Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica – è diventato il modo di intendere, di rispettare e di applicare la sovranità popolare, e in particolare quella sua forma di espressione che avviene tramite le decisioni dei parlamenti”. Secondo Mantovano, vi sono tre “tipologie di aggiramento della volontà popolare” per via giudiziaria: la creazione delle norme per via giurisprudenziale; la sostituzione delle scelte del giudice a quelle del governo; la selezione per sentenza di chi deve governare.
Un discorso coraggioso, e segnatamente politico, che riecheggia i moniti lanciati dal vicepresidente Usa J. D. Vance alla Security Conference di Monaco quando, tra lo sbigottimento generale, Vance ha ricordato all’Europa che l’“establishment” non può ignorare la volontà dei cittadini. “Gli elettori europei non hanno votato i governi per aprire le frontiere all’immigrazione incontrollata”, la stoccata del vicepresidente Usa che ha lanciato un monito contro la compressione, in Europa, del “free speech” attraverso la censura mascherata per difesa del politicamente corretto.
Mantovano, che è un magistrato e un giurista finissimo, mette in fila alcuni fatti che, al di là del clamore temporaneo, dovrebbero suscitare riflessioni più ampie su alcuni trend internazionali: l’espansione del giudiziario ai danni del politico; le conseguenze in termini di democrazia sostanziale (i Parlamenti vengono eletti dai cittadini, le toghe no); lo squilibrio sempre più evidente tra poteri dello Stato.
Partiamo dalla giurisprudenza “creativa”, vale a dire i giudici che inventano norme ex novo: non è un fenomeno inedito ma, secondo Mantovano, la novità oggi è il “suo carattere non più eccezionale bensì diffuso tra tutte le giurisdizioni, con riferimenti alle fonti internazionali ed europee”.
I giudici fanno una specie di “shopping” attingendo al cosiddetto “multilivello”, tra le disposizioni di altri ordinamenti nazionali, con il risultato di costruire discipline che il Parlamento non ha mai approvato o perché non le condivide o perché non ritiene di trattarle.
È accaduto nel campo delle questioni eticamente sensibili, su temi industriali e, più di recente, in materia di immigrazione. Come non considerare una assoluta anomalia il fatto che alcuni magistrati disapplichino le norme in vigore senza neanche più impugnarle davanti alla Corte costituzionale ma addirittura rivendicandone la disapplicazione in convegni e scritti?
Le conseguenze sull’equilibrio tra i poteri, per dirla con Montesquieu, e sul rispetto della volontà popolare sono vieppiù dirompenti se si considera che già oggi assistiamo alla progressiva erosione degli spazi regolativi del legislatore nazionale. L’Italia è parte dell’Unione europea e gran parte della regolazione nazionale, oggigiorno, è recepimento di norme europee. Se a ciò si aggiunge che le norme adottate dai Parlamenti vengono poi disattese dai giudici, è lo stesso processo democratico a perdere ogni valenza.
Secondo Mantovano, il secondo ambito di tensioni nei rapporti tra poteri riguarda “l’interdizione per via giudiziaria dell’azione di governo su materie politicamente sensibili”, come appunto immigrazione e industria.
In terzo luogo, come elemento di novità ancora più recente, il Sottosegretario di Palazzo Chigi cita “la tendenza delle corti a incidere direttamente sulla rappresentanza degli elettori”.
Il riferimento esplicito è al caso Marine Le Pen, non già per la condanna di primo grado in sé quanto per la sanzione accessoria, immediatamente esecutiva, della ineleggibilità per cinque anni. Disarcionare il leader del primo partito di Francia attraverso l’applicazione anticipata di una sanzione accessoria è un atto con inevitabili ricadute politiche.
Se si asseconda una tale deriva, si corre il rischio che il “diktat dell’establishment”, come lo chiama Mantovano, faccia premio su ogni altro elemento, incluso il meccanismo di legittimazione democratica definito mediante il voto popolare.
Mantovano fa riferimento anche all’opposizione della magistratura associata a disegni di legge costituzionali che hanno già procedure rinforzate, quindi più garantite, di approvazione.
Se una forza politica vince le elezioni promettendo ai cittadini, per esempio, la separazione delle carriere, deve poi tradire la promessa elettorale per conformarsi al “diktat dell’establishment”?
Sarebbe quasi consolatorio attribuire lo sviamento della funzione giudiziaria alle manovre potenzialmente eversive di un manipolo di “toghe rosse”, espressione del secolo scorso che non rispecchia la realtà attuale.
La pretesa dell’establishment di far prevalere le proprie istanze e la propria visione del mondo su ogni altro potere appare ormai un virus contagioso che attraversa tutte le giurisdizioni, indipendentemente dalle appartenenze correntizie.