Mentre Donald Trump faceva sapere al mondo che gli piacerebbe diventare il prossimo Papa, in Italia si è svolto un summit dalle conseguenze economiche e geopolitiche di primo piano. A Villa Doria Pamphilj la premier Giorgia Meloni ha accolto il presidente Recep Tayyip Erdogan nel primo viaggio del leader turco in Europa dopo l’arresto del sindaco di Istanbul, e suo avversario, Imamoglu.
La Turchia è un paese strategico per molteplici ragioni: per il peso crescente in Africa, la presenza in Libia, la gestione dei flussi migratori da Oriente, il ruolo di mediatore tra Russia e Ucraina. Ankara è membro della Nato e, a un tempo, un attore politico capace di avere interlocuzioni con i grandi protagonisti del Sud globale. In un mondo multipolare, con Trump che scuote gli equilibri esistenti e rimescola il puzzle delle alleanze globali, il ruolo della Turchia assume un peso specifico.
Giorgia Meloni ha saputo condurre il summit con pragmatismo e con una buona dose di realpolitik. Nessuno scivolone, poche e misurate parole, focus su cooperazione economica e industriale. Sono stati infatti siglati, ieri, nove memorandum di intesa tra i ministri dei due Paesi con l’impegno, ribadito sia da Meloni che da Erdogan, di far crescere l’interscambio dagli attuali 32 a 40 miliardi di dollari.
Tra i più importanti patti commerciali, c’è quello tra Leonardo e la turca Baykar per la produzione di droni di ultima generazione in Italia. Per la prima volta nel nostro Paese si produrranno droni grandi come caccia che possono essere usati su scenari bellici sia per la ricognizione, sia per i bombardamenti. Dipende da come li utilizza chi li acquista. Sarà infatti il colosso italiano nei settori difesa e aerospazio ad assemblare i velivoli senza pilota assieme alla turca Baykar Technologies, il secondo produttore mondiale. I siti industriali coinvolti sono quelli di Grottaglie, La Spezia e Ronchi dei Legionari.
Il primo passo sarà realizzare a Ronchi un modello italianizzato dell’Akinci: drone lungo dodici metri, con un’apertura alare di venti, da sorveglianza ma anche da attacco perché può trasportare missili aria-aria, bombe a guida laser e razzi. Per l’immissione in commercio nell’Ue servirà la certificazione europea e poi individuare dei compratori, impresa non difficile considerando l’impegno europeo sintetizzato nel piano di riarmo e difesa, intitolato “Readiness 2030”. Baykar, inoltre, non è un interlocutore qualunque. A capo dell’impresa c’è Selcuk Bayraktar, l’uomo che ha sposato Sumeyye Erdogan, la figlia del presidente turco.
Un secondo accordo commerciale, tra Tim Sparkle e Turkcell, riguarda invece la connessione della Turchia all’Italia e all’ecosistema europeo delle telecomunicazioni.
“Costruiremo una dorsale digitale lunga circa 4mila chilometri”, ha scandito la premier Meloni. Il cavo sottomarino partirà da Smirne per poi correre sottoterra fino a Milano. A questo progetto, si aggiungono nuove iniziative congiunte in campo infrastrutturale, dall’incremento di riserve di gas naturale attraverso il Tap a diversi protocolli di intesa tra Cassa depositi e prestiti e istituti di credito turchi.
Sono ormai lontani i tempi in cui le dichiarazioni dell’ex premier Mario Draghi (“Erdogan? Un dittatore di cui abbiamo bisogno”) provocarono gravi tensioni con Ankara. Con un occhio al business da parte italiana e un cenno turco alla ripresa del processo di adesione all’Ue, fermo da oltre dieci anni, i rapporti tra Roma e Ankara tornano solidi, e questa è una buona notizia. Non solo per il controllo dei flussi migratori (ieri Meloni ha ricordato l’“azzeramento delle partenze dalle coste turche”) ma anche per le possibili sinergie in campo industriale e scientifico.
La Turchia non è una democrazia compiuta ma se l’Italia dovesse interloquire soltanto con leader democraticissimi finirebbe isolata e più povera. Ieri, le conclusioni finali del summit sono state esposte dai leader senza domande dei giornalisti, si può presumere che su questo format abbia inciso la scarsa abitudine di Erdogan a confrontarsi con la stampa libera.
Stride il contrasto con le immagini diffuse solo un paio di settimane fa quando, nello Studio Ovale, Trump e Meloni sono stati letteralmente inondati dalle domande dei giornalisti accreditati presso la Casa bianca. La democrazia è una cosa bellissima ma gli affari seguono le loro logiche, e va bene così.