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Non sarà la Russia a salvarci

Sembra in corso un riposizionamento dell’Italia nel sistema internazionale delle alleanze. Almeno a giudicare dal turismo politico: nei pochi mesi trascorsi dalla costituzione del governo giallo-verde, si sono recati in visita in Russia una volta ciascuno il Presidente del consiglio e un suo vice, due volte l’altro vice.

L’Italia, fin qui isolata, non fa mistero di voler impedire la conferma delle sanzioni commerciali europee contro la Russia.

Sul punto ogni opinione è legittima. Non è di questo che si intende qui discutere, ma degli aspetti economici della questione.

Da parte di esponenti del governo e di loro sostenitori, si lascia intendere che dalla Russia potrebbe venire un aiuto finanziario all’Italia nel caso in cui i nostri rapporti con l’Unione europea dovessero peggiorare, o nel caso irisparmiatori dovesse continuare ad esser restii ad acquistare i titoli del nostro debito.

Anche su quanto sarebbe desiderabile questo aiuto è lecito avere opinioni diverse. Ma è inutile discuterne: perché la cosa è impossibile, date le forze in campo e la dimensione relative delle due economie.

Qualche numero aiuta a comprendere meglio.

In termini di prodotto, la Russia è molto più piccola dell’Italia: nelle statistiche del Fondo monetario internazionale, valutato in dollari il suo prodotto nel 2017 (1.578 mld) risulta pari a circa due terzi di quello italiano(1.939 mld).

E i russi sono decisamente più poveri di noi. Secondo la stessa fonte, il prodotto pro-capite dei russi (10.956 $) è circa un terzo di quello degli italiani (31.997 $). Se si correggono i valori per tener conto del diverso potere di acquisto, la distanza si riduce, ma certo non si annulla.

Il bilancio pubblico russo non è affatto messo meglio di quello italiano: nella media del 2016 e 2017, il loro deficit corrente è pari al 2,6 per cento del prodotto, contro il 2,4 italiano.

Quanto all’accesso ai mercati finanziari, di fronte alla situazione russa anche le traversie che portarono l’Italia alla crisi del 2011 appaiono rose e fiori: la Russia nella scadenza dei dieci anni paga uno spread di oltre 800 punti rispetto al Bund tedesco; l’Italia oggi oscilla intorno ai 300 punti.

Grazie al rialzo dei prezzi petroliferi, le partite correnti della bilancia dei pagamenti russa sono positive, e migliorano. Ma il loro avanzo resta decisamente inferiore a quello italiano, sia in valore assoluto (35 mld contro 53) sia in rapporto al prodotto (2,2 % contro 2,8).

Anche il peso della Russia nel nostro interscambio commerciale viene clamorosamente sopravvalutato nel dibattito. Esportiamo verso la Russia circa 8 miliardi di merci all’anno. Meno del 2 per cento delle nostre esportazioni complessive. Per comprendere, non solo clamorosamente di meno rispetto a quanto esportiamo verso la Germania (55mld) o verso gli USA (40 mld), ma appena due terzi di quanto esportiamo verso il piccolo Belgio (12 mld).

Si comprende che la real-politik imponga di tener conto dei flussi commerciali. Ma, se non bastassero gli infiniti altri motivi, anche la realtà degli scambi commerciali ci sconsiglia vivamente di allontanarci dall’occidente.

In conclusione: non è dalla Russia che potrà arrivare la cavalleria a salvarci. Non ha abbastanza cavalli, e neanche tanti cavalieri.

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