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Uber debutta a Wall Street, attenzione all’euforia

Ci siamo. Dopo mesi di tira e molla, e a distanza di qualche settimana dalla consegna del prospetto informativo alla Sec, domani Uber farà il suo debutto a Wall Street. In queste ore la società che gestisce il servizio di trasporto automobilistico privato, alternativo ai taxi, si prepara a fissare il prezzo di collocamento che probabilmente sarà a metà della forchetta indicata, che va dai 44 ai 50 dollari per titolo. Lo sostengono fonti del Wall Street Journal, secondo cui gli investitori stanno ancora effettuando ordini che potrebbero magari spingere la valutazione dell’azienda verso la parte alta, ossia 90 miliardi di dollari. Se il prezzo verrà fissato a 47 dollari per titolo, Uber varrà 86 miliardi. Una super valutazione che la posizionerebbe al terzo posto dopo Facebook che, al suo debutto in borsa nel 2012, raggiunse una capitalizzazione di 104 miliardi di dollari e di Alibaba che è stato valutato 168 miliardi nel 2014. Certo una quotazione monstre che è anche un po’ disarmante se si pensa che Uber ha chiuso il bilancio 2018 con una perdita operativa di 1,8 miliardi di dollari e ha accumulato fra il 2016 e il 2018 perdite complessive per 10 miliardi.

“C’è molta attesa, questa sarà l’Ipo più grande dell’anno – conferma a Fortune Italia Vincenzo Longo, market strategist per IG Group, specializzato nell’analisi tecnica e fondamentale dei mercati finanziari equity, forex, bond e commodity – un’attesa alimentata dai media e dagli investitori in cerca di nuovi affari. Tuttavia veniamo dalla delusione di Lyft, che ha una quota del 30% del mercato del ride-hailing, che dal suo debutto ha perso il 17, quindi anche per questo l’attenzione è massima”.

Ciò che conta è anche il periodo di collocamento. Si è in una fase in cui nell’ultimo quadrimestre l’azionariato americano è andato a gonfie vele e quindi anche Uber, nonostante ancora ieri in tutto il mondo ci sono stati scioperi degli autisti dell’azienda, potrebbe beneficiarsene. Anche se l’Ipo ha dato ancor più fiato alla protesta, esacerbando il contrasto tra le paghe, i diritti degli autisti e le cifre intascate da investitori e vertici aziendali.

“Ci sono tante polemiche interne all’azienda – prosegue Longo – che riguardano il management, le dimissioni del fondatore, Travis Kalanick, che non sono state un buon segnale e sulle paghe basse agli autisti. I ricavi sono molto buoni, siamo nell’ordine di 11,2 miliardi di dollari rispetto ai 2 scarsi di Lyft. Tuttavia Uber ha perdite tipiche di un’impresa ancora da startup, nonostante stia sul mercato da oltre 10 anni. Questo è un elemento da non sottovalutare”.

Già perché il problema degli unicorni – quelle società della gig economy che superano il miliardo di dollari – è che crescono ad un ritmo impressionante cavalcando l’onda delle nuove tecnologie, ma poi non riescono a diventare veramente grandi anche da un punto di vista della solidità finanziaria e a modellare il proprio business con regole più stringenti. Forse l’approdo a Wall Street servirà ad Uber proprio a questo.

“Uber sta diversificando giustamente la sua offerta – sottolinea l’analista di Ig Group – con servizi di sharing ad altri settori dell’economia, anche se paga il fatto di operare in un comparto dove le barriere d’ingresso sono basse, chiunque attraverso un’applicazione potrebbe replicarne il business”.

Ma allora, in definitiva, è un titolo su cui vale la pena di puntare? “Siamo in una fase molto calda per questi settori e questi titoli della nuova economia, possono essere facilmente surriscaldati da aspettative – conclude Longo – per questo bisogna essere molto cauti nell’investimento. C’è molta overconfidence e una certa esuberanza irrazionale. Insomma l’euforia non è sempre sinonimo di affari”.

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