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Contratto di programma Poste nel mirino Antitrust

Il contratto di programma delle Poste per il periodo 2020/2024 è finito nel mirino dell’Antitrust perché il governo, scrive l’autorità, ha esteso il monopolio legale a favore del gruppo pubblico ben oltre i limiti del servizio universale. Il commento è contenuto in una lettera indirizzata al presidente del consiglio Giuseppe Conte, pubblicata sul sito dell’Autorità garante per la concorrenza e il mercato, in cui si spiega che fanno storcere il naso al custode della concorrenza le modalità di assegnazione del servizio ma anche la ricaduta all’interno del contratto di programma di molte altre attività che Poste può sì offrire, ma non in esclusiva.

Come è noto in quasi tutti i paesi più sviluppati solo il recapito della posta tradizionale viene considerato un servizio universale per i quali gli stati pagano ad un operatore i costi che questo sostiene. E’ il modo in cui si garantiscono i servizi di base a prezzi sostenibili ai cittadini che risiedono in località isolate e poco popolate dove i servizi privati non arrivano o avrebbero costi insopportabili. Per questo, e per garantire lo sviluppo di servizi in concorrenza sulle attività affini, come la consegna di raccomandate, di pacchi, servizi di pagamento, i confini del servizio universale devono essere delimitati nel contratto che definisce i criteri del servizio e i prezzi.

Il contratto di programma, 2020-2024, messo a punto dal ministro per lo Sviluppo economico e che al momento è al vaglio del Parlamento, secondo l’Autorità però va ben oltre. Prevede, si legge nella lettera, “non solo la disciplina dei rapporti tra lo Stato e Poste Italiane per la fornitura del servizio postale universale ad essa affidato, ma anche quelli per la prestazione di altri servizi a cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni estranei al servizio universale”, che dovrebbero invece essere cancellati. Dopo aver ricordato che l’aggiudicazione del servizio a Poste italiane è avvenuta “senza gara pubblica” e per un periodo troppo “lungo” l’Antitrust commentando il contratto di programma in fase di approvazione precisa che il perimetro del servizio universale “dovrebbe essere ridefinito e dovrebbero escludersi i servizi rivolti ad una clientela commerciale che prevedono invii in grande quantità (c.d. non retail come la posta massiva o la posta raccomandata non retail) e deve essere limitato ai soli servizi rivolti prevalentemente alle persone fisiche (c.d. retail)”. Anche perché il servizio avviene “in esenzione di iva garantendo un ingiusto vantaggio concorrenziale all’operatore pubblico”.

Non solo. Secondo l’Antitrust occorrerebbe escludere anche altre tipologie di invio “per esempio quello dei pacchi per i quali non sembrano rinvenirsi ragioni per finanziare a carico dello Stato attività che trovano sul mercato ampia possibilità di essere acquisite a condizioni ragionevoli”.

Nel dettaglio, l’Agcm contesta poi anche l’introduzione nel contratto, perché può generare un’erronea percezione da parte dei clienti, di una serie di servizi che Poste, secondo la bozza del contratto di programma, potrà offrire alle pubbliche amministrazioni, dopo aver sottoscritto delle apposite convenzioni senza gara.

Come i servizi di natura digitale, per “l’emissione e consegna di certificati e attestazioni, nelle attività di riscossione e pagamento, nel supporto e nell’assistenza verso la popolazione anziana per promuovere l’utilizzo di strumenti informatici nello svolgimento di attività relative ai servizi postali e altri servizi offerti da Poste Italiane e nella logistica per centri urbani ed aree rurali”. Ma anche i servizi di Tesoreria nei Comuni con popolazione residente fino a 5.000 abitanti. Come detto, conclude l’Antitrust “tali previsioni consentono a Poste Italiane di offrire servizi estranei al servizio postale universale, in alcuni casi anche estranei al settore postale, sulla base di convenzioni, eludendo procedure di gara ad evidenza pubblica per i loro affidamenti, con conseguenti distorsioni concorrenziali e aggravio dei conti pubblici”.

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