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Coronavirus, i tre pilastri per ripartire

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Stiamo affrontando – come Paese, come imprenditori, ma anche come singoli cittadini e persone – una crisi senza precedenti, eccezionale e profondissima, che sta scuotendo dalle fondamenta non solo il nostro tessuto sanitario ed economico, ma anche quello sociale. La ricetta per uscirne non potrà che essere altrettanto straordinaria, con misure radicali in grado di incidere veramente che devono poggiare, credo fermamente, su tre pilastri: risorse, accelerazione e solidarietà. Vediamo come.

 

 

A quasi due mesi dall’inizio del lockdown, in Italia ancora si discute di una Fase 2 piuttosto nebulosa. Di fatto, il nostro Paese non sembra attrezzato per il ritorno alla piena attività produttiva. Dobbiamo mettere al primo posto la salute delle persone, senza sconti sulla sicurezza, ma rimandare ulteriormente la ripresa vorrebbe dire affossare definitivamente la nostra economia.

 

 

Le risorse ci sarebbero, ma vanno accelerate: quella che fino a poco tempo fa era una priorità, ora è una necessità non più rinviabile. L’intervento del Governo con il “decreto liquidità” è stato un primo passo positivo ma purtroppo, ad oggi, i buoni propositi non si sono ancora concretizzati sui conti delle aziende che stanno lottando per la sopravvivenza e non possono attendere oltre.

 

 

Ben venga la rinnovata attenzione dell’Europa per la solidarietà tra Stati. Il Consiglio Europeo ha dato il via libera al pacchetto di misure da 500 miliardi e trovato un accordo di principio per il Recovery Fund, uno strumento comune necessario e urgente. Anche il Sure è stata un’ottima misura, innovativa e utile per aiutare le imprese e tutelare i posti di lavoro. Ma anche le tempistiche europee sono problematiche, perché molte imprese difficilmente riusciranno ad arrivare fino a luglio, data ipotetica per l’attivazione dell’eventuale Recovery Fund.

 

 

Come possiamo uscire da questa impasse? Bisogna in primo luogo sbloccare immediatamente gli investimenti in infrastrutture, aprendo al contempo il fronte sulla questione credito per le imprese, il cui fatturato è in forte contrazione. Accelerare significherà far fronte una volta per tutte ai gangli burocratici che da troppo tempo soffocano il nostro Paese. Non sarà un compito facile, ma ne va della sopravvivenza del tessuto economico e imprenditoriale italiano: bisogna “sburocratizzare”, rendendo più semplici e rapide le procedure, senza per questo rinunciare alla trasparenza ma anzi rafforzandola con regole più chiare.

 

 

Ma serve di più. Quello di cui l’Italia necessita da anni, ma che oggi è un’urgenza non più rimandabile, è uno choc economico positivo accompagnato da misure sistemiche e condivise con tutti gli attori, a livello nazionale e internazionale. Servono piani d’azione come quello messo in atto dalla Bce che – pur dopo qualche iniziale tentennamento – davanti al crollo delle borse europee ha deciso di stanziare 750 miliardi di quantitative easing e ha dichiarato che il proprio impegno per l’euro non aveva limiti. Servono decisioni pragmatiche e straordinarie, capaci di incidere con efficacia.

 

 

Ho parlato di infrastrutture: queste possono e devono essere il vero volano della ripresa. Per rilanciare l’economia serve procedere su binari più solidi e viaggiare al doppio della velocità, per recuperare il tempo (e il PIL) perso. Sarà necessario, quindi, dedicare risorse alla costruzione di tutte quelle infrastrutture considerate strategiche ma che sono rimaste ferme. Non si tratta solo di sbloccare i cantieri: è indispensabile semplificare radicalmente i tempi burocratici e amministrativi a monte di gara e rendere le procedure di assegnazione delle opere più veloci, senza dover necessariamente stravolgere il codice degli appalti.

 

 

I due giganti dell’economia globale sono stati capaci, in questo, di assumersi le proprie responsabilità e attuare scelte decisive. Negli Stati Uniti le costruzioni considerate essenziali non si sono fermate neanche a fronte della pandemia, mentre la Cina – oltre ad aver immediatamente sospeso il pagamento dei contributi previdenziali e assicurativi per le imprese – ha investito 285 miliardi di euro in infrastrutture e sanità. In Italia, nel momento in cui scrivo, abbiamo opere ferme per un valore complessivo di 62 miliardi di euro: sbloccarle vorrebbe dire creare posti di lavoro, con una ricaduta complessiva sull’economia stimata in 187 miliardi.

 

 

La creazione di una linea strategica unitaria, meglio se definita a livello europeo o internazionale, è cruciale. Sarebbe un segnale del fatto che tutti i sistemi industriali vogliono superare questa crisi in modo unito e solidale. La crisi sanitaria ha colpito duramente tutto il mondo, e la crisi economica ora sta asfissiando molti Paesi. Dobbiamo promuovere un modello unico e cogliere questa occasione per rimettere l’Europa al centro delle dinamiche economiche globali, accelerando le politiche comunitarie e definendo una strategia industriale comune. Come imprenditori, ma prima di tutto come donne e uomini cittadini di città ancora chiuse, chiediamo di fare sistema, di immettere risorse e di farlo in tempi brevi, a beneficio di tutti e del nostro futuro.

 

 

*Angelica Donati è Vicepresidente di ANCE Giovani

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