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Verdini condannato, le sentenze definitive non si discutono

Sono rimasti pochi punti fermi. Ce n’è uno imprescidibile per chi crede ancora nello Stato di diritto: le condanne definitive non si discutono. E questo vale per tutti, anche per Denis Verdini. È stato un uomo centrale nella vita politica di questo Paese, prima al fianco di Silvio Berlusconi in Forza Italia e nel Pdl e poi con i moderati di Ala. Ha fatto valere il peso delle sue indiscusse doti di mediazione e di ‘aggregazione’, in un Parlamento sempre attraversato da trasformismi e alleanza fluide. Per la sua attività di banchiere, però, ha commesso reati e oggi la Cassazione l’ha condannato a sei anni di reclusione nell’ambito del processo per il crac del Credito cooperativo fiorentino. Estinta per prescrizione, invece, la parte della condanna pari a quattro mesi per truffa sui fondi dell’editoria. Ora, salvo impedimenti, Verdini finirà in carcere. Almeno fino all’8 maggio 2021, quando compirà 70 anni e potrà chiedere gli arresti domiciliari.

 

La giustizia ha fatto tutto il suo corso. In primo grado, una condanna a nove anni, poi ridotti per alcune prescrizioni legate ai reati di truffa sui fondi pubblici dell’editoria; il 3 luglio 2018, la condanna a sei anni e dieci mesi di reclusione dalla Corte di Appello di Firenze. Oggi è arrivata l’ultima parola della Cassazione.

 

La vicenda, stando all’accusa e agli elementi che l’intero processo ha confermato, riguarda un tema che ricorre in tutte le vicende giudiziarie legate alle banche e alla finanza: la concessione di credito ‘agli amici e agli amici degli amici’. In questo caso, quello del Credito cooperativo fiorentino, fino alla bancarotta. Sono state riscontrate numerose operazioni anomale e una gestione imprudente, già denunciate dalle relazione dei commissari della Banca d’Italia che aveva portato al commissariamento nel 2010 e poi alla dichiarazione di insolvenza della banca, confluita in Chianti Banca.

 

Andando a ripescare la delibera di Bankitalia, sulla base della quale il Ministero dell’Economia ha disposto il commissariamento, si ritrovano tutti gli elementi poi evidentemente accertati dal processo. La governance della banca, secondo i commissari, era “totalmente accentrata” e Denis Verdini era “il principale fautore della politica di espansione creditizia verso clientela di grandi dimensioni, fra cui rientrano anche iniziative riconducibili al suo gruppo familiare”. Questo, si faceva notare, in evidente contrasto con “le linee strategiche elaborate per il triennio 2008-2010, che prevedevano la diversificazione del portafoglio crediti a favore delle famiglie e delle piccole e medie imprese”.

 

Bastano questi passaggi a spiegare l’uso improprio della banca, quella ‘mala gestio’ che torna ogni volta che si va ad analizzare un crac bancario. Nel caso di Verdini, il potere politico e quello economico si saldavano. È accaduto tante altre volte nella storia finanziaria, recente e meno recente. Questa volta, con la condanna definitiva, è arrivata una sentenza che non ammette discussioni. Nonostante i se e i ma che arriveranno.

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