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Effetto Covid sul Made in Italy: le vendite aumenteranno di 3-4 mld

imprese coronavirus made in italy

Il Made in Italy è pronto a crescere, nonostante la pandemia, o forse proprio grazie alle trasformazioni che ha portato. Lo rivela uno studio condotto dalla società di consulenza globale Alvarez&Marsal, in collaborazione con Retail Economics, sulle 30 principali catene di distribuzione presenti in sei Paesi europei, ovvero Italia, Francia, Inghilterra, Spagna, Germania e Svizzera: nei prossimi 12 mesi saranno venduti tre-quattro miliardi di euro in più di prodotti del Made in Italy, con una contrazione dell’import di quasi il 3,5%.

 

Dunque, saranno rivisti consumi e produzione grazie alla riorganizzazione dei modelli produttivi e delle catene di approvvigionamento. Ovviamente, si tratta una conseguenza della potenza dell’impatto del Coronavirus sul mercato internazionale. Sempre secondo l’analisi, il 70% delle catene europee hanno riveduto la supply chain, perché la pandemia ha evidenziato per i rivenditori l’eccessiva dipendenza da singoli fornitori e anche l’inadeguatezza delle rotte di approvvigionamento delle merci da un’unica area, spesso quella asiatica.

 

Quindi, ecco il cambio di passo: il 55% dei rivenditori avrebbe già iniziato a diversificare la rete di fornitori e nei prossimi 12 mesi il 53% di loro cambierà le rotte di rifornimento, mentre il 46% prediligerà una politica di riavvicinamento delle fonti di reperimento del materiale. “Dopo un iniziale momento di difficoltà, molti rivenditori si sono domandati come progettare catene di fornitura più intelligenti e più affidabili”, spiega Alberto Franzone, managing director di Alvarez&Marsal Italia. E in quest’ottica il report di Alvarez&Marsal evidenzia anche una spinta all’on-shoring, ovvero alla riconduzione nei confini nazionali, in questo caso in Italia, di una parte prevalente della filiera di produzione.

 

“Una prospettiva – aggiunge Franzone – interessante dal punto di vista delle ricadute su occupazione e prodotto interno, ma che si scontra con numerose barriere che rischiano di incidere non poco sul valore finale del bene e quindi sul futuro equilibrio domanda-offerta”. Ovvero, c’è il rischio di costi più alti, riconosciuti come il principale deterrente dall’86% delle catene di distribuzione europee, insieme alla mancanza di specializzazione (77%).

 

“Incrociando questi dati – conclude Franzone – laddove i margini di profitto lo consentano (pensiamo al lusso, ai prodotti per la casa e all’agroalimentare), la prospettiva di un maggiore approvvigionamento da fonti interne non solo è plausibile ma è l’indirizzo verso cui il mercato verosimilmente si muoverà”.

 

Dunque, il ricorso al Made In Italy e il ritorno nel Paese della filiera produttiva, ma non solo a causa delle leggi non scritte del Covid-19. Secondo lo studio, incidono sul cambiamento anche altri elementi, come la Brexit, l’incertezza geopolitica: il 69% dei rivenditori europei è convinto che le tensioni e i vincoli commerciali influiranno sui cambiamenti nelle catene di approvvigionamento delle merci. E poi, c’è l’impatto economico della sostenibilità ambientale, anche se in Italia il 63% degli interpellati si dice disinteressato (rispetto al 23% dei francesi e al 26% dei tedeschi) sull’importanza di scegliere una fonte di approvvigionamento interna per ridurre l’impatto sull’ambiente. Infine, lo studio di Alvarez&Marsal traccia anche la rotta hi-tech delle imprese, soprattutto sull’investimento nella cyber security (80%), poi digitalizzazione (77%), automazione (63%) e anche l’intelligenza virtuale (23%).

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