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Nasce network di donne imprenditrici arabe e israeliane

La crisi del governo Conte e gli strascichi dell’assalto a Capitol Hill, anticamera di un delicatissimo passaggio di testimone alla Casa Bianca, hanno comprensibilmente messo in ombra un evento giudicato “storico”, per le ricadute positive che avrà sul processo di stabilizzazione del Medio Oriente. Nel pieno del dibattito sull’eventuale impeachment per Trump, una nota di Foggy Botton ha salutato la nascita del primo network di donne imprenditrici arabe e israeliane per la promozione dello sviluppo economico nelle rispettive regioni. A darne notizia, l’ambasciatore americano straordinario per le questioni globali delle donne, la repubblicana Kelley Currie, che ha ospitato il lancio virtuale dello “United Women’s Economic Development Network”, assieme a Aryeh Lightstone, inviato speciale Usa per la normalizzazione economica tra Emirati Arabi Uniti e Israele, e a Charity Wallace, direttore per le questioni di genere della U.S. International Development Financial Corporation (Dfc).

 

L’iniziativa – presentata anche da Marwa Al Mansoori, imprenditrice e membro del comitato per la cooperazione economica dell’Eau e dall’israeliana Netta Korin fondatrice di Orbs, leader mondiale in tecnologie blockchain – non può che essere letta come un ulteriore passo, sempre sotto l’egida di Washington, verso la normalizzazione delle relazioni tra Israele e alcuni alleati arabi degli Stati Uniti, nella cornice degli Accordi di Abramo siglati nel settembre del 2020. Stiamo parlando del cosiddetto “Deal of the Century”, destinato innegabilmente ad essere ricordato come un successo (uno dei pochi!) dell’Amministrazione Trump in campo di politica estera.

 

Nello specifico, la rete delle imprenditrici, in tutto una quarantina di donne, geograficamente coprirà un’area ben più estesa di quella degli accordi tra Israele, EAU e Bahrein, agganciando anche paesi come Marocco, Sudan, Uzbekistan e Kosovo (gli ultimi due di religione islamica, ma non appartenenti alla Lega Araba) oltre, ovviamente, agli Stati Uniti. In buona sostanza, sottolinea in una nota il Dipartimento di Stato Usa, il network fornirà “la piattaforma per costruire i legami e la fiducia reciproca tra le imprenditrici dei paesi aderenti, rafforzando la cooperazione economica regionale promessa dagli accordi di Abramo, cooperazione che porterà benefici economici in quei paesi e negli altri che condividono gli stessi intenti”. Le ricadute, ovviamente, saranno anche politiche e infatti la rete rosa è già vista, a detta dell’Ambasciatore Currie, come “un’organizzazione complementare che contribuisce pragmaticamente alla pace nella regione, in linea con gli obiettivi americani”.

 

E’ stato Lightstone, regista indiscusso dell’iniziativa, l’unico uomo collegato in remoto alla presentazione virtuale, a dissipare le perplessità dei giornalisti sul timing di questo lancio evidenziando che, “quando si tratta di favorire l’emancipazione femminile e dare anche un valore aggiunto alla pace, il momento è sempre buono”. Nonostante l’imminente transizione alla Casa Bianca, infatti, il network ha ricevuto il via libera in tempi rapidissimi, sia dalla Presidenza sia dal Dipartimento di Stato Usa, anche perché non sarebbe frutto – a suo dire – di un’iniziativa “guidata” dalla politica, quanto di un’esigenza concretamente avvertita dagli attori economici dei paesi aderenti. “Le imprenditrici che si sono messe in rete – ha infatti chiarito Lightstone – non vedono l’ora di potere coglierne i benefici di lungo termine: mentre costruivamo quest’iniziativa, mai una di loro mi ha chiesto se stessi ancora lavorando per Trump o per il neo-eletto presidente Biden”.

 

Che i benefici siano tanto a portata di mano quanto allettanti è sotto gli occhi di tutti: senza considerare l’immenso mercato americano, gli altri sette Paesi del network rappresentano un mercato potenziale di quasi 130 milioni di persone. Emirati Arabi Uniti e Israele, sulla carta, sono senz’altro le economie più dinamiche e potenzialmente interessate a far funzionare bene la joint-venture ed eventualmente allargarla. Si calcola infatti che il solo interscambio tra lo Stato ebraico e i paesi del Golfo possa valere miliardi di dollari, una boccata d’ossigeno non marginale per le economie di due Paesi che stanno pagando il prezzo di una fallimentare gestione della pandemia da Covid-19. Gli Emirati Arabi Uniti sono peraltro quelli che più hanno sofferto per il boicottaggio d’Israele imposto nel 1972 dalla Lega Araba, una legge che ha paralizzato qualsiasi iniziativa imprenditoriale disponendo la denuncia penale e il carcere per i trasgressori.

 

Gli accordi di Abramo e l’abolizione del boicottaggio mutano drasticamente le prospettive della regione. Da una parte gli Emirati, che importano quasi il 90% del loro fabbisogno alimentare, potrebbero finalmente importare le tecnologie israeliane per produrre frutta e verdura in terre desertiche. Dall’altra gli imprenditori israeliani potrebbero investire nell’attraente mercato del mattone emiratino, molto meno costoso del loro e non tassato sui redditi. Intese economiche e progetti condivisi tra le imprenditrici degli otto Paesi potrebbero interessare, secondo gli analisti, anche il settore energetico, l’ambiente, la sanità, i mercati finanziari, le Tlc, il turismo e la cultura. Ma probabilmente l’aspetto più interessante dell’iniziativa risiede proprio nell’avere adottato un approccio di genere, approccio che è molto apprezzato dalla prima potenza del mondo. I cosiddetti processi di “women’s empowering” e “women’s capacity building”, per inserire le donne nei meccanismi decisionali del potere delle economie in via di sviluppo, sono sempre più considerati volani per la crescita tout court oltre che validi strumenti per la promozione della pace. Avviare tali processi nelle aeree del mondo più instabili non a caso rientra tra gli obiettivi prioritari della diplomazia americana. Il lancio dello United Women’s Economic Development Network precede di pochi giorni un’altra iniziativa simile presentata in Marocco alle imprenditrici nordafricane, la Women’s Global Development and Prosperity Initiative (W-Gdp), che contiene l’impegno ad investire nelle imprese femminili della regione un miliardo di dollari entro il 2025.

 

Secondo dati forniti dagli economisti della Casa Bianca, la rimozione delle barriere che ancora lasciano le donne ai margini delle economie dei loro paesi potrebbe generare un aumento del Pil globale di almeno 7mila miliardi di dollari. Alla luce delle disastrose ricadute economiche della pandemia, il mondo non può più permettersi di chiudere gli occhi di fronte a dati simili, magari ignorando anche la celebre massima pronunciata già negli anni ’80 dalla Iron Lady britannica, Margaret Thatcher: “se vuoi che qualcosa venga detto, chiedi a un uomo. Se vuoi che qualcosa venga fatto, chiedi a una donna”.

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