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Gli effetti politici del governo Draghi

mario draghi governo recovery plan

SOLO UN CIECO potrebbe non vedere gli effetti politici di prima grandezza prodotti dal governo Draghi. La Lega, la principale forza politica del centrodestra, ha cambiato radicalmente la propria posizione rispetto a un tema decisivo: l’adesione all’Unione europea e all’Euro.

IL PARTITO CHE AVEVA FLIRTATO, forse qualcosa di più, con le posizioni anti-Ue, anti-Euro, filo-russe è diventato il primo sostenitore del governo più filo-europeo e più filo-atlantico degli ultimi anni, presieduto dalla persona che in tutto il mondo è identificata quanto nessun altro con la difesa dell’Euro. Riguardo all’immigrazione, questione divisiva per eccellenza, Salvini si è spinto fino a sostenere che la politica che desidera è precisamente quella sostenuta dalla Ue.

Il tema della collocazione della Lega all’interno degli schieramenti politici europei è ormai aperto. Difficile prevedere come verrà risolto, ma la contraddizione tra un partito che in Italia sostiene Mario Draghi e nel Parlamento europeo siede con la Le Pen sarà in qualche modo risolta.

Nella sinistra la nascita del governo Draghi ha coinciso con la crisi delle strutture di vertice di entrambi i partiti principali. I Cinquestelle sono avviati verso la leadership di Conte, che li porterà ad attenuare alcuni tratti più esplicitamente populisti, e ad abbandonare anche loro quelle pulsioni anti-europee che a un certo punto li avevano condotti a flirtare con i gilet gialli francesi e con il governo cinese.

La leadership del Pd aveva innalzato una barricata al grido di Conte o morte. È stata travolta la barricata, e con essa la leadership. La nuova segreteria di Enrico Letta ha tratti tali che allontaneranno bruscamente il Pd dalle tentazioni più esplicitamente populiste che erano emerse nel corso della stretta alleanza di governo con i 5 stelle.

Non male come effetti politici di un governo che qualcuno voleva non-politico.

Ma gli effetti sulla offerta politica alle prossime elezioni saranno forse ancora più radicali. Se il governo Draghi saprà fare accettabilmente bene sui due terreni decisivi – il progetto per il Next Generation Eu e la lotta alla pandemia – sarà ancora possibile per le forze politiche che dopo di lui si contenderanno il governo del Paese di fronte agli elettori presentarsi con un personale politico del tipo di quello visto nelle ultime competizioni? Non sarà che già oggi, nella scelta di Conte e di Letta per la leadership dei due partiti della sinistra, ha agito anche la consapevolezza che era necessario candidare al governo persone che avessero caratteristiche – di esperienza, di competenza – ben diverse rispetto a quel che si era appena visto? Potrà il centro-destra, e al suo interno soprattutto la Lega e Fratelli d’Italia, non porsi il problema di presentare alle elezioni una squadra di governo che appaia adeguata anche nel confronto con il governo uscente?

Affinché questo percorso di miglioramento dell’offerta politica possa compiersi, manca un tassello: una legge elettorale che renda chiaro a tutti che oggetto della competizione è il governo; che la domanda rivolta agli elettori non è chi rappresenta meglio le tue ideologie o alcuni tuoi interessi specifici o addirittura chi ti è più simpatico, bensì chi tu vuoi che guidi il Paese.

Una legge elettorale quindi che sia quanto di più lontano possibile da quell’approdo proporzionale sul quale si era impegnata la maggioranza che sosteneva il governo Conte-bis. Ma che invece riporti verso quella legge elettorale maggioritaria che ha consentito di stabilizzare i governi delle amministrazioni locali e regionali, e che per un certo periodo aveva reso la competizione politica italiana più simile a quella che si svolge nei grandi Paesi sviluppati.

A voler far presto, una simile legge sarebbe già pronta: è il vecchio Mattarellum; fortemente incentrato sulla competizione nei collegi uninominali e capace di spingere verso una aggregazione delle principali aree politiche. Enrico Letta ha provato a rilanciarla, nonostante le resistenze palesi e nascoste del suo partito. Sta soprattutto a Salvini ora cogliere l’occasione.

Qui Draghi non può fare molto. È ragionevole che tenga il suo governo fuori dalla disputa intorno alla legge elettorale, e lasci fare – sperando che faccia – al Parlamento.

Ma le azioni umane hanno anche effetti non intenzionali. Se Draghi saprà ben governare, e saprà rendere gli italiani consapevoli del suo buon governo, potrà produrre l’effetto non intenzionale di favorire una legge elettorale e una competizione politica migliori.

La versione originale di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di aprile 2021. Ci si può abbonare al magazine mensile di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

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