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Il record della spesa pubblica e il peso dello Stato

palazzo chigi

Con l’approvazione del Documento di economia e finanza è divenuto ufficiale: nel 2020 la spesa pubblica ha superato abbondantemente i 900 miliardi, ed è stata pari al 57,3% del nostro prodotto interno lordo.

IN VALORE ASSOLUTO e in percentuale si tratta di un livello mai toccato prima nell’Italia unitaria (solo in rare occasioni, e di poco, avevamo superato la soglia del 50%). Se allarghiamo lo sguardo all’insieme dei Paesi che usiamo chiamare ‘ad economia di mercato’, un livello confrontabile della spesa pubblica è stato raggiunto solo in pochi anni e solo da alcuni Paesi nordici (Finlandia, Svezia, Danimarca) e dalla Francia.

Certamente si fa fatica a chiamare ancora economie di mercato sistemi nei quali la gran parte degli acquisti di beni e servizi non è conseguenza di libere scelte delle persone che acquistano qualcosa perché ritengono che ne possa venire una qualche utilità a sé o ai propri familiari, né delle libere scelte delle imprese, che credono così di poter produrre qualcosa che incontrerà i desideri dei propri clienti.

Nel 2020 siamo entrati con decisione in un sistema nel quale la maggior parte degli acquisti di beni e servizi avviene per una scelta compiuta dalla politica, a esser benevoli con l’obiettivo di fornire a cittadini quel che a loro si presume sia utile. Si tratta del superamento di una soglia cruciale, che non è stato abbastanza messo in evidenza nel dibattito pubblico. Se la spesa pubblica pesa così tanto, ai fini del benessere collettivo diviene decisivo che sia una buona spesa e una spesa ben fatta. ‘Buona spesa’ attiene a quel che si compra. Il che però non riguarda le caratteristiche intrinseche del bene o del servizio acquistato, ma l’utilità che i cittadini ricevono da quello specifico acquisto.

Questo concetto fa giustizia delle distinzioni manichee, tipo quella tra spese correnti e spese di investimento. Non è affatto detto che le seconde siano migliori delle prime. Costruire una strada o una ferrovia non è di per sé meglio che stipulare un contratto con un consulente. Dipende da quante persone, quante merci transiteranno davvero su quella strada o su quella ferrovia, cioè da quante persone e imprese ne trarranno una utilità. All’opposto, le più vituperate tra le spese correnti, quelle per consulenze esterne, potranno essere ‘buone spese’ se forniranno conoscenze e competenze necessarie.

Non basta neanche che la spesa sia ‘buona’, ma serve anche che sia una spesa ‘ben fatta’. Ciascuno di noi ne fa esperienza nella propria vita privata: acquistare una casa in cui vivere è in generale considerata una buona spesa, ma se fatta male, per esempio perché si paga troppo la casa, l’acquisto si trasforma in una spesa cattiva. Ciò vale anche per le imprese, che infatti si dotano di apposite strutture per il ‘procurement’, proprio per garantirsi che le spese siano ‘ben fatte’.

Purtroppo, tutti noi abbiamo l’impressione che molta spesa pubblica sia una spesa cattiva, e ancora più spesso che sia una spesa mal fatta. Nella discussione pubblica l’idea che la spesa pubblica sia cattiva, o mal fatta, finisce sempre per ipotizzare la corruzione. Di cui in realtà non conosciamo l’estensione, né sappiamo se qui da noi è più diffusa che altrove. Ma, ancora, una volta, la nostra stessa esperienza personale ci dice che per far male una spesa non serve essere corrotti. Eppure, noi paghiamo con i nostri soldi. Non ci è difficile comprendere come sia probabile che la spesa sia mal fatta se chi paga lo fa con i soldi degli altri.

Così il mondo nel quale siamo entrati, in cui per la maggior parte quel che compriamo non lo scegliamo noi ma lo sceglie la politica per noi, è un mondo difficile. I meccanismi politici, a partire dalla stabilità dei governi, contano di più. Il problema di come renderli più moderni ed efficaci diviene ineludibile.

I meccanismi burocratici divengono decisivi: inefficienze, ritardi, scarsa competenza divengono mali più dannosi di prima. Sullo sfondo rimane l’esigenza di ritornare a un’economia basata principalmente sulle libere scelte degli individui. Quella che ha dimostrato di consentire un miglioramento delle condizioni di benessere delle persone ovunque si è affermata.

Obiettivo non facile: gli Stati sono ben capaci di accrescere il proprio ruolo, per quel che qui conta le loro spese, ma molto meno bravi nel ridurre l’uno e le altre. Questa volta però non se ne può fare a meno: sempre che non vogliamo rassegnarci a consegnare la prevalenza delle scelte a decisioni assunte da altri. Ben duro il lascito della pandemia. Riformare i meccanismi della politica e della burocrazia. E nel frattempo ricondurre lo Stato entro argini che ha travolto. ‘Vaste programme’, direbbe il generale De Gaulle. Ma dal quale dipenderà il benessere futuro nostro e dei nostri figli.

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