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Terza guerra fredda Usa-Cina. E l’Europa?

Le tensioni tra Occidente e Oriente, più precisamente quelle Usa-Cina, devono essere meglio inquadrate in un contesto, storico ed economico, che si trascina da tre secoli. Chi non conosce la storia è destinato a ripeterla, e oggi assistiamo al terzo capitolo di una trilogia. Partiamo con il numerare correttamente le guerre fredde.

Le 3 guerre fredde

La prima inizia il 12 gennaio 1830. Lord Ellenborough, amministratore delegato della Compagnia delle Indie, incaricò Lord William Bentick di tracciare una rotta commerciale con l’emirato di Bukhara. I britannici volevano creare stati cuscinetto per separare gli interessi britannici in India e l’impero russo: aree e città-stato centro asiatiche i cui territori attuali appartengono a Afghanistan, Turchia, Iran, Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan, Tajikistan, e Pakistan. L’impero russo reagì per fare la stessa cosa. Fu una guerra fredda salvo alcune guerre locali proxy: le guerre Afgane e la più famosa guerra di Crimea. Questo confronto durò fino all’inizio della prima guerra mondiale. L’Impero russo e Impero britannico erano in espansione industriale, dovevano trovare nuovi mercati per i loro prodotti e nuovi stati da indebitare con i soldi generati dal commercio (uno tra tutti l’impero Ottomano, poi spinto in guerra contro la Russia). Difficile dire chi dei due contendenti vinse: entrambi erano imperialisti e mercantilisti, entrambi avevano scopi economici simili e simili strategie per attuarli (sia in modo pacifico che belligerante)

La seconda iniziò con il discorso di Churchill sulla cortina di Ferro e durò dal 1945 al 1993 (caduta del muro di Berlino). Sul come e il perché si sa già tutto: capitalisti democratici buoni contro comunisti cattivi. Qualche guerra proxy per testare le risorse dell’avversario (Corea, Vietnam, Afghanistan) e soprattutto una vittoria americana occidentale. Fu la vittoria di un sistema capitalista liberista contro un sistema economico pianificato. Nei decenni successivi il capitalismo di rendita si è instaurato in tutto il mondo. Uno scenario non scevro da rischi per la crescita mondiale, come spiegato dalla Bank for International Settlement alcuni anni fa. I centri di potere sono distribuiti in America ed Europa e le casse forti (delle grandi aziende private) ben sicure nei paradisi fiscali (dal Delaware americano sino alle piccole isole britanniche del Jersey, dove il riciclaggio e l’elusione fiscale sono l’unica industria in crescita continua dell’isola.). I vincitori hanno poi conquistato il vinto: la Russia, sotto Eltsin, è stata colonizzata dal capitalismo di rendita, a danno, come spesso ha fatto presente il successore Putin, degli interessi dei cittadini russi.

La terza guerra è iniziata con il governo Obama che voleva creare un accordo del Pacifico (TPP) che circondasse gli interessi economici cinesi e li mandasse a sbattere contro quelli russi (un vecchio piano di Brzezinsky di 50 anni prima, sostanzialmente fallito). La strategia di Trump, nella contrapposizione Usa-Cina, non ha fatto altro che seguire quella di Obama, e ora Biden la sta ulteriormente consolidando.

Sistemi tecno-economici a confronto

L’Occidente, più marcatamente gli Usa, hanno evoluto una finanza comunemente definita di rendita (rentier capitalism). Il recente Covid, ha permesso un ulteriore passo avanti con la crescita fulminante dei fatturati delle Fagman (le bigtech come Facebook, Amazon, Google, Microsoft etc.. ) che, grazie allo sfruttamento del primato tecnologico americano, hanno creato un sistema di acquisizione dati e gestione (nonché centralizzazione) senza precedenti nella storia umana conosciuta.

Tuttavia il fenomeno Fagman occidentale è recente. L’esempio più famoso della finanza di rendita è la globalizzazione (post crollo del muro di Berlino): la de-industrializzazione degli Usa (evento imitato più o meno con successo dagli stati europei, Regno Unito in primis) e lo scarico dell’attività produttiva su paesi poveri con basso costo del lavoro. A questo fenomeno si contrappone la Cina (e in scia la Russia) che negli ultimi 20 anni, potremo dire a partire dal 2000 (una volta entrata nel Wto), a botta di piani quinquennali, ha creato un capitalismo di impresa o industriale.

Oggi la nuova guerra fredda Usa-Cina vede il suo maggiore fronte caldo in questa area. Da un lato un’economia americana occidentale che si mantiene sul debito e su crisi economiche-finanziarie cicliche: da quella delle dot.com 2000 sino al Covid 2020 (data indicata, pre-Covid, da Roubini gia dal 2019)

Dall’altro lato un’economia cinese che investe massicciamente in infrastrutture ( che mancano), industria pensante e leggera, prestiti a paesi della sua sfera di influenza (una sfera che oggi raggiunge circa 5 miliardi di individui tra Africa, Asia e Latino America) e un approccio industriale economico strutturato in piani quinquennali.

Scontro ideologico? Solo di facciata

Noi occidentali rappresentiamo i “buoni”: siamo democratici, amiamo la libertà e la rispettiamo. Anche le nazioni con cui commerciamo maggiormente condividono e supportano, nel loro territorio, gli stessi valori e forme di governo: Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi, India e altri stati della fascia nord africana (giusto per citarne alcuni). Il grosso dell’Oriente, invece, è connotato da stati decaduti (Russia), imperi despotici (Cina) e altri stati pieni di terroristi e generalmente gente cattiva (Iran, Afghanistan, Pakistan etc..). Questo è lo storytelling che, di solito, viene narrato a noi occidentali. Esiste veramente un set d’ideologie così contrapposte? Nella prima guerra fredda non vi erano ideologie contrapposte, solo interessi economici. Nella seonda pur comandando l’economia, vi era un tentativo, più o meno efficace, di usare le ideologie per guidare (o tenere a bada) i popoli dei due blocchi.

La terza guerra fredda Usa-Cina assomiglia sempre più alla prima: due grandi imperi (si legga Totalitarismo invertito di Sheldon Wolin per capire meglio perché definisco gli Usa un impero), con le rispettive sfere d’influenza, che competono per mercati, e dove l’ideologie sono più una scusa per aizzare i cittadini-elettori, che una dimensione socio-politica marcata.

Giusto due note per chiarire

Il fenomeno Cina, come industria del mondo, ha come “padri e madri” tutti gli amministratori delegati occidentali e in scia i politici (prima americani poi europei) che inseguivano la crescita continua e avevano (hanno) la sindrome del trimestre sempre in positivo. Il pensiero comune americano centrico (iper individualista e privo di visione storica) ipotizzava che la Cina sarebbe stata colonizzata come la Russia di Eltsin… si sbagliavano.

Il modello di creazione delle aziende Cino-occidentali, imposto dal governo cinese, è stato un colpo di genio per il dragone. La Cina, da sola, difficilmente avrebbe raggiunto il livello tecnologico attuale in tempi così brevi. Oggi la Cina è la fabbrica del mondo e sta velocemente colmando il divario tecnologico con l’Occidente. Questo divario è, per essere chiari, l’unico che definisce l’Occidente come “primo mondo”.

Parlando di primato occidentale ricordiamoci, per esempio, che il capitalismo, ancor più quello di rendita, non nasce per essere di supporto ad una forma di politica democratica. Leggere “La ricchezza delle Nazioni” di Adam Smith fa comprendere come lo stesso autore ben poco si preoccupasse della democrazia, come forma ottimale in cui il capitalismo poteva fiorire. Il vero campione che emerge, nelle analisi di Smith e dei successivi Hayek e Friedman, è l’individualismo estremo, meglio se scevro dalla visione storica (modello anglo-americano classico).

D’altro canto la visione asiatica è un approccio che risente fortemente del concetto di potere sociale e distanziamento. Elementi poco familiari a noi occidentali ma naturali nel mondo asiatico.

Lo standard mondiale è cambiato?

Dai tempi della fine della seconda guerra mondiale sino ad oggi, l’Occidente, marcatamente gli Usa, ha sempre definito ciò che era “giusto”. La vittoria nella 2° guerra fredda ha affermato il primato dell’Occidente, mantenutosi sino ad oggi, in quanto baluardo di democrazia e libertà.

Le cose paiono essere cambiate. Biden, tenendo la linea del suo predecessore, in fatto di politica estera: con la Russia ha dato del killer al presidente Putin, mentre In Alaska il meeting Usa Cina è finito in “pareggio”. I due eventi, pur se non direttamente connessi han decretato una cesura.

I cinesi e i russi han fatto capire che tratteranno con l’America e i suoi alleati quando e se vorranno, secondo i loro standard (che non devono per forza rispettare quelli occidentali americani, in pratica l’ordine ideologico costituito). Cina e Russia, invece di competere con le regole definite dall’America han deciso di fare “exit”. Le due nazioni, con le loro rispettive sfere di influenza economica, che interessano circa 5 miliardi di individui, han deciso di non competere con l’Occidente, ma politicamente parlando, di ignorarlo. Il vertice Russia-Usa probabilmente sancirà una volta per tutte questo status quo.

Il futuro e l’Europa

Al netto di chi sia il frontman americano (presidente e partito al potere), la nuova guerra fredda ha alcune sfide che, come europei, dobbiamo soppesare, per comprendere cosa fare. Il vincitore non è scontato e il perdente rischia di perdere veramente molto.

Questo nuovo scenario è molto differente dal passato: la sfera tecnologica, gli standard di produzione, le filiere industriali estremamente allungate (e per la quasi totalità dipendenti dalla Cina)… Sono tutti fattori che ci obbligano a decidere che posizione prendere.

Ad oggi la guerra fredda, anche solo parlando di interessi italiani, c’è costata molto: crollo del commercio con Russia e Iran (due partner storici), estromissione dal gioco africano e medio orientale. Cina e Russia hanno forti interessi a investire in Europa, e noi europei abbiamo eguali interessi. La neutralità è possibile, ma richiede uno sforzo importante a livello politico: avvantaggerebbe le nostre imprese che, post Covid, han necessità di riaffermarsi sui mercati.

Prendere una posizione netta (come nella 2° guerra fredda) potrebbe chiuderci per anni mercati vitali. Sunzi disse “vi sono cammini che non vanno seguiti”.

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