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Produzione industriale, i dati e le incognite

I dati hanno un peso, sempre. Ma vanno insieme ai tanti segnali che arrivano dal mondo reale, quello in cui le imprese sono impegnate tutti i giorni. I dati iniziano a migliorare sensibilmente. L’Istat stima che ad aprile l’indice destagionalizzato della produzione industriale aumenti dell’1,8% rispetto a marzo: si tratta del quinto mese consecutivo di crescita congiunturale e il livello “supera i livelli prepandemici di febbraio 2020”. Ovviamente, è fortissimo il rimbalzo tendenziale, perché nel confronto annuo l’indice complessivo aumenta del 79,5%, “in ragione del dato eccezionalmente basso di aprile 2020”, quando ci furono le maggiori restrizioni all’attività produttiva per il contenimento del Covid, con il lockdown.

A rappresentare i dati aiutano spesso i grafici.

 

Fonte: Istat

 

 

La curva rappresenta bene cosa è successo nell’ultimo anno. E il ritorno sui livelli pre-crisi è sicuramente una buona notizia. C’è però un’incognita sostanziale che riguarda le conseguenze di quella caduta della produzione industriale, soprattutto sul piano dell’occupazione. Il dibattito di questi giorni sul blocco dei licenziamenti è legato essenzialmente a questa domanda e al fatto che nessuno, se non facendo stime che si potranno dimostrare più o meno attendibili, può sapere con certezza quante uscite effettivamente ci saranno nei settori più colpiti, pensiamo al tessile, alla moda, e anche al turismo.

Dovesse esserci un’emorragia di posti di lavoro, difficilmente l’effetto sostituzione con nuovi contratti flessibili potrà evitare un saldo fortemente negativo.

Questo non vuol dire che il blocco dei licenziamenti a oltranza possa essere la soluzione. Anzi, è vero il contrario. Si tratta di una misura nata nell’emergenza e che non può diventare strutturale. Finirebbe con il tenere artificialmente in vita occupazione destinata comunque a scomparire alla prima occasione utile.

Quello che è auspicabile è che si trovi un equilibrio tra le due esigenze contrapposte, che poggi anche, e soprattutto, su una lungimirante riforma degli ammortizzatori sociali, su politiche attive finalmente efficaci e anche su una leva fiscale che renda conveniente assumere. Solo così il travaso di posti di lavoro, da quelli che si bruceranno a quelli che si riusciranno a creare, potrà essere vissuto limitando i danni.

Risolta questa incognita, l’effetto sull’occupazione della caduta della produzione, il dato di oggi potrà essere letto per quello che è: un’importante iniezione di fiducia.

 

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