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L’industria dei servizi vale miliardi

Siamo una nazione con un’economia sviluppata; come in tutte le economie sviluppate, in Italia il settore dei servizi (definito come economia totale al netto di agricoltura, attività estrattive, manifattura, utilities e costruzioni) è cresciuto negli anni. In Italia, il terziario rappresenta quasi tre quarti del PIL (74%). In media nelle altre economie sviluppate, dagli Usa alla Francia, la quota dei servizi si assesta intorno al 80% del Pil. Nell’ultimo decennio il settore è cresciuto, in media, dello 0,3%. Una crescita importante ma azzoppata da alcuni fattori esogeni come l’austerità post crisi 2008 ed elementi endogeni come il nostro debito nazionale e la errata percezione di cosa siano i servizi (e come valorizzarli).

Servizi e industria due facce della stessa moneta

Spesso vi è la percezione che l’industria dei servizi e quella della manifattura (o industria) siano tra loro distanti, quasi in competizione. Specialmente oggi, con gli aiuti che il governo italiano prima, e quello europeo in seguito, stanno stanziando, esiste un vulnus nel pensiero economico sociale (e perché no pure politico) che deve essere risolto, una volta per tutti. I due settori sono tra loro sinergici e, in una economia moderna come quella occidentale, l’uno non può fare a meno dell’altro, per il suo sostentamento.

“Il settore dei servizi italiano e quelli della manifattura, costruzioni ed utilities sono fortemente interdipendenti. Il terziario genera attività di produzione di altri settori poco inferiore a quella che le attività manifatturiere generano in altri settori. Tra i settori dei servizi che maggiormente interagiscono con il resto dell’economia vi sono il commercio all’ingrosso e al dettaglio, il trasporto e magazzinaggio e le attività professionali, che non a caso esibiscono moltiplicatori per euro di attività in linea con la manifattura (attorno a €1.94). Il settore dei servizi italiano vende il 16% della sua produzione come input per la produzione di beni”, spiega l’analisi dell’Osservatorio del Terziario di Manageritalia, appena lanciato dalla associazione dei manager del terziario.

Scarsi investimenti uguale scarsa crescita.

Esiste una stretta correlazione tra investimenti (privati e pubblici) e crescita. Il settore dei servizi non è esente da questa correlazione. “Una tendenza, visibile nei dati, è che l’intensità degli investimenti è diminuita, nell’ultimo decennio, per quasi tutti i settori del terziario in Italia. Nella nostra analisi si dimostra la forte relazione positiva tra intensità degli investimenti e produttività del lavoro, a livello di settore (al netto degli effetti di paese e periodo). Lo studio permette di confermare che, laddove si è verificata una maggiore intensità di investimenti ha corrisposto, in media, un premio in termini di produttività del lavoro. Specularmente, e questo è stato il caso per la maggior parte del terziario nell’ultimo decennio, a bassa intensità d’investimenti ha corrisposto una ridotta crescita della produttività del lavoro”, spiegano dell’Osservatorio del Terziario di Manageritalia.

Export dei servizi. Un’opportunità?

La scarsità degli investimenti, tuttavia, non è l’unica ragione per la scarsa crescita dell’industria dei servizi. Complessivamente in tutti i principali paesi europei, negli ultimi dieci anni, le esportazioni di servizi sono cresciute molto più velocemente rispetto all’industria della produzione. Un esempio su tutti il caso delle esportazioni di servizi finanziari del Regno Unito, il cui valore rappresenta un importante percentuale del Pil (sui servizi) e svariate decine di miliardi di sterline. In Italia il settore dei servizi italiano è focalizzato sul mercato interno e, rispetto agli altri Paesi, non ha ancora sfruttato le opportunità di crescita del commercio internazionale. Un caso di studio rappresentativo è quello del trasporto e magazzinaggio. Data l’importanza relativa delle attività manifatturiere in Italia, significativamente più alto di Francia e Spagna, è logico aspettarsi che tale settore sia essenziale nel coordinare il movimento dei beni e costituisca una leva fondamentale per aumentare le esportazioni. La produttività del settore è rimasta però molto indietro nell’ultimo decennio, generando uno svantaggio competitivo con gli altri paesi. La crescita dell’e-commerce, anche in Italia, dovrebbe essere un ulteriore spinta a supporto di questi servizi di magazzini e logistica.

Ripresa post Covid?

La cassa integrazione guadagni e il blocco dei licenziamenti sono un evento che ha generato un momento di “pausa”, durante questa crisi. Tuttavia esse si applicano esclusivamente ai lavoratori a tempo indeterminato. I settori con un’incidenza maggiore di dipendenti a tempo indeterminato (come manifattura ed istruzione) sono quelli che riportano una perdita occupazionale minore. La ripresa dell’industria dei servizi sarà eterogenea. “I settori che dipendono dal finanziamento pubblico, come la sanità e l’istruzione, finiranno per essere limitati dalla necessità di riparare le finanze pubbliche sulla scia del massiccio sostegno fiscale per far fronte alle perdite di reddito durante la pandemia. I settori maggiormente sensibili al distanziamento sociale come alloggio e ristorazione e arte/intrattenimento saranno lenti a riprendersi nel 2021, con tassi di crescita annuali ancora negativi ed un ritorno ai numeri pre-covid nel 2022. Una prospettiva non particolarmente rosea riguarda il settore delle attività professionali. La ripresa del settore ha iniziato a perdere slancio dopo una forte performance nella seconda metà dello scorso anno, ma è difficile ipotizzare un ritorno ai livelli pre-pandemici nel prossimo futuro”, spiegano dall’Osservatorio di Manager Italia.

La concentrazione delle perdite nel settore dei servizi rischia di trasformarsi, in un andamento futuro al di sotto dei comparables europe per molti comparti: attività finanziarie, attività professionali e scientifiche, commercio, sanità e assistenza sociale. Questi settori sono, tra quelli dei servizi, quelli con una maggior produttività del lavoro e sono settori trainanti nel caso di altre economie”, concludono dall’Osservatorio del Terziario Manageritalia.

È bene ricordare che la transizione da un’economia a base manifatturiera ad un’economia terziarizzata ha rappresentato, dagli anni ‘80, la trasformazione economica più importante nei paesi avanzati. Oggi, la fetta di valore aggiunto determinata dal settore dei servizi varia tra il 60% e l’80% nei paesi Osce.

Cosa fare per valorizzare i servizi?

Ai servizi serve un ecosistema che favorisca la sua crescita. Dobbiamo partire dalla certezza che industria e servizi, ma volendo anche l’agricoltura, oggi, in qualsiasi economia moderna, non sono in competizione, ma necessari gli uni agli altri e sinergici. Potremmo dire le due facce della stessa medaglia. Purtroppo in Italia vengono ancora percepiti, erroneamente, come due entità divise. A riprova del gap culturale, basti pensare che il supporto alla digitalizzazione delle imprese del Paese venne lanciato in Italia con il “Piano Nazionale Industria 4.0” del 2017 inserito all’interno della Legge di Bilancio. Il nome del Piano, riferito alla sola industria, dimentica che anche il terziario ha bisogno di digitalizzarsi. Ricordiamoci che i campioni globali della digitalizzazione sono proprio aziende del terziario: Google, Amazon, Facebook, Alibaba che, a loro volta tramite l’ecosistema da essi creato, sono veicolatori di sinergie che ricadono anche nell’industria dei prodotti. Per correttezza ricordiamo che, in seguito, il piano “Industria 4.0” fu ridenominato Impresa 4.0, una presa di coscienza tardiva ma benvenuta, e oggi, nella politica industriale del nuovo Governo, è chiamato Piano Transizione 4.0. Se l’ambizione dell’ecosistema economico italiano è di crescere e dare spazio a industrie con forti capacità scalari quello dei servizi è il settore che merita estrema attenzione da parte del governo.

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