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Luis Enrique, quando si parla di leadership

L’Italia ha vinto, la Spagna ha perso. Il campo ha un solo risultato, a prescindere da chi ha giocato meglio. L’Italia è in finale e la Spagna è tornata a casa. C’è però un altro fattore in evidenza nella notte di Wembley: la leadership indiscutibile di Luis Enrique. La sua storia, quella sportiva prima ancora che quella personale, ne fanno un leader capace di affermare le proprie idee, di costruire intorno a un progetto chiaro e di affermare la propria identità. Tutte caratteristiche che vanno oltre il calcio e che descrivono ‘l’arte del comando’ nella sua accezione più completa.

Luis Enrique ha vinto tanto da allenatore, al Barcellona, ma è stato capace anche di cadere, come è successo a Roma, e di rialzarsi. Ha emozionato il mondo con la storia straziante di sua figlia, morta per cancro a 9 anni. Ovunque è stato e qualsiasi cosa abbia fatto, ha sempre proposto, spiegato e difeso le sue idee. Guadagnando rispetto e rinoscenza, anche da parte dei tifosi, da sempre abituati a osannare chi vince e a condannare chi perde. È successo quando ha alzato trofei e quando ha fatto un passo indietro, perché la vita personale, anche quella di un grande allenatore, deve avere il suo peso.

Quando Luis Enrique è tornato al suo posto, sulla panchina della Spagna, ha assunto responsabilità da leader. Ha capito che la sua nazionale doveva passare per un ricambio generazionale per tornare grande. Non ha convocato giocatori del Real Madrid, perchè le ‘merengues’ non hanno giovani spagnoli abbastanza forti. Non ha portato a Euro 2020 Sergio Ramos, il capitano, il primatista assoluto di presenze (180) che ha partecipato a quattro Mondiali (2006, 2010, 2014 e 2018), perché è stato infortunato e non è stato nel gruppo. Scelte difficili, che gli si sarebbero ritorte contro in caso di fallimento.

Il gruppo lo ha blindato e difeso anche nel duro confronto con la critica, che in Spagna sa essere feroce almeno quanto in Italia, e lo ha portato a giocare la semifinale contro l’Italia a un livello eccezionale, con una supremazia tecnica e tattica per larghi tratti evidentissima. Poi, ha perso la semifinale ai rigori. Capita, anche quando giochi meglio del tuo avversario per 120 minuti. E la leadership di Luis Enrique si è affermata ancora una volta. Con le parole, lo strumento che spesso anche i più grandi allenatori sbagliano nel momento, difficile, della sconfitta. “Sono felice per quello che ho visto. Ho goduto di una partita di alto livello con due squadre forti che cercavano di giocare un bel calcio, è stato uno spettacolo per i tifosi. Voglio fare i complimenti all’Italia, spero che in finale possa cercare di vincere questo Europeo. Tiferò per gli azzurri”. A qualcuno possono sembrare parole di circostanza, ma non lo sono. Sono le parole di un leader: “non è una serata triste, siamo delusi ma nel calcio bisogna saper vincere e perdere. Non possiamo essere disperati, ma dobbiamo fare i complimenti agli avversari”. La leadership passa anche, se non soprattutto, per la gestione delle sconfitte.

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