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Dopo un disastroso anno finanziario come il 2020, nel 2021 il gigante petrolifero americano Exxon ha dovuto affrontare la forte pressione degli investitori ‘attivisti’ verso un approccio sostenibile. La versione originale di questo articolo, a firma di Katherine Dunn, è disponibile sul numero di Fortune Italia di luglio/agosto 2021.

 

QUANDO SI PARLA di trash-talking, l’arte di insultare e mettere sotto pressione gli avversari, il Ceo di Exxon Mobil Darren Woods non ha esattamente lo stesso talento di una leggenda come Micheal Jordan. Perlomeno in pubblico, il sussiegoso dirigente petrolifero usa un tono di voce abbastanza monotono e robotico, ammorbidito dal suo leggero accento texano, e sceglie le parole con estrema attenzione, quasi a suggerire una studiata mellifluità. Un sobrio stile di presentazione che Wood ha utilizzato a fine aprile, quando ha annunciato i numeri del primo trimestre del colosso dell’Oil&Gas. Eppure, in quel discorso, si percepiva un’inconfondibile nota di trionfo, forse anche un leggero accenno di sfida.

Nella call con gli analisti di Wall Street, Woods ha sottolineato come un anno di tumulti (una pandemia, gli effetti dei lockdown, il crollo dei consumi di greggio) non avesse cambiato di una virgola la prospettiva del gigante energetico. E ha suggerito che i 2,7 mld di dollari di profitti nei primi tre mesi del 2021, aiutati dal rimbalzo dei prezzi del petrolio, fossero la prova della fondatezza della strategia aziendale. “Sapevamo che l’economia si sarebbe ripresa, che la popolazione e gli standard di vita sarebbero continuati a crescere. Provocando, in ultima istanza, un aumento della domanda per i nostri prodotti e un recupero per il settore”, ha detto Woods. Intanto, ha notato, gli sforzi degli ultimi anni dell’azienda per ristrutturare e reinvestire hanno pagato: “Siamo una compagnia più forte, con prospettive in miglioramento”.

Traduzione: beccatevi questa, haters.

Il trimestre ha rappresentato una vittoria quanto mai necessaria per Woods e la sua azienda, dopo un anno in cui Exxon ha subito una serie di dolorose umiliazioni. Il crollo dei prezzi del petrolio ha fatto affondare le entrate di circa 83 mld di dollari nel 2020 rispetto al 2019 e ha fatto scivolare il titano energetico dal terzo al decimo posto della Fortune 500 di quest’anno, la peggiore classificazione di sempre per Exxon. Ancora peggio: dopo più di venti anni senza un trimestre negativo, l’azienda ha subito una perdita record da 22,4 mld di dollari nel 2020. Di gran lunga il dato peggiore della Fortune 500. Ad agosto Exxon è stata rimossa dal Dow Jones dopo 92 anni consecutivi fra le trenta aziende dell’indice, rimpiazzata dal gigante software Salesforce. Oltre al danno, la beffa: lo storico rivale di Exxon, Chevron (27esima nella Fortune 500 di quest’anno, con un calo di 12 posizioni) ha mantenuto il suo posto nel Dow Jones. Una cosa difficile da mandar giù.

Ad aprile 2021, sia Moody’s che S&P Global hanno declassato il rating sul debito Exxon per la seconda volta nel giro di un anno. La ragione? Pressioni maggiori sul tema dei cambiamenti climatici, combinate con i livelli di debito più alti della storia di Exxon, risultato di investimenti aggressivi indirizzati all’aumento della produzione di petrolio e gas dell’azienda. Il rapporto debito-capitale è cresciuto dal 16,5% al 27,8% negli ultimi 5 anni e il debito in totale è cresciuto di 21 mld di dollari solo nell’ultimo anno. Questi passi falsi hanno offerto il fianco di Exxon ai colpi dei critici, che sostengono che le sorti dell’azienda siano in declino da anni. Basta guardare le performance di mercato. Tra gli investitori, Exxon ha goduto a lungo della reputazione di operatore più affidabile tra le Big Oil, così pieno di contanti da essere in grado di investire anche durante i periodi di crisi, capitalizzando poi in quelli di crescita.

Che lo si ammetta o no, il titolo Exxon era quello su cui si poteva contare. Ma negli ultimi 5 anni le azioni sono precipitate del 32%, mentre quelle di Chevron sono salite del 6% e l’indice S&P 500 è cresciuto del 102%. Exxon insegue anche i rivali BP (calata del 16%) e Shell (-21%) nello stesso periodo di tempo.

La notizia, riportata dal Wall Street Journal a gennaio, secondo cui Exxon e Chevron avevano avuto confronti preliminari su una possibile fusione, ha sollevato ancora più dubbi sul futuro dell’azienda. Exxon ha rifiutato di commentare la notizia. A rendere la situazione più caotica c’è il sospetto che la tradizionale visione del mondo di Exxon (in cui la crescita economica è basata sul petrolio) sia diventata finanziariamente instabile, anche profondamente rischiosa, in una nuova era di transizione energetica verso fonti più sostenibili. Mentre altri come BP, Shell e la Total francese hanno dichiarato di volersi impegnare per il raggiungimento di emissioni CO2 net zero entro il 2050 accelerando gli investimenti in eolico e solare, Exxon ha puntato i piedi, volendo investire esclusivamente nel core business petrolifero. Percependone la debolezza, gli investitori ‘attivisti’, guidati da una nuova società di investimenti chiamata Engine No. 1, hanno lanciato una battaglia ‘proxy’ contro la mancanza di strategie energetiche alternative di Exxon. Obiettivo: rinnovare il board dell’azienda con una lista di quattro nuovi consiglieri che, sostengono, possono aiutare a guidare l’evoluzione a lungo rimandata di Exxon. La risposta di Woods ha previsto una serie di iniziative di svecchiamento; in particolare, il lancio di una nuova linea di business per commercializzare le tecnologie a basso impatto ambientale di Exxon.

La versione completa di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di luglio/agosto 2021. Ci si può abbonare al magazine di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

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