Il sesto Rapporto Welfare Index Pmi di Generali Italia ha certificato che il “welfare aziendale genera impatto sociale”. Cioè il welfare aziendale ha ormai assunto una prospettiva extra-aziendale, esce dell’impresa e coinvolge – positivamente – l’intera comunità, il territorio, in cui l’azienda è insediata.
Ma c’è un elemento in più che viene confermato dal Rapporto 2021: il welfare aziendale fa bene all’impresa e fa bene al Paese. La crisi Covid ha colpito duro. Il 51% delle Pmi intervistate (oltre 6000 in rappresentanza di quelle 660mila Pmi che fanno grande l’economia nazionale) ha subito perdite del volume di affari; in certi casi (il 24,7% del totale) si tratta di perdite molto pesanti, superiori al 20% del fatturato. I più colpiti? I comparti del turismo, della ristorazione, dello spettacolo, dei trasporti, dell’abbigliamento.
Il Covid ha provocato impatti strutturali. Due imprese su dieci – si legge nel Rapporto Welfare Index Pmi – “hanno dovuto ridurre la forza lavoro, e il 10,8% in modo drastico. Poche (2,2%) hanno chiuso definitivamente l’attività, alcune (5,3%) l’hanno ridimensionata fortemente.
In questo contesto negativo soltanto il 2,3% delle imprese hanno pensato di dover ridurre le iniziative di welfare a favore dei dipendenti, delle loro famiglie, del territorio. Ma si è manifestata una consapevolezza: il 77,7% degli intervistati si è detto certo che la domanda di welfare da parte dei lavoratori è destinata a crescere; e il 67,5% delle imprese ritiene necessario ascoltare questa richiesta, impegnandosi in un processo di rafforzamento dell’impegno sociale, rivolto ai dipendenti e a tutti gli stakeholder.
E’ interessante osservare che questi livelli di consapevolezza si distribuiscono per segmenti di imprese. “Anzitutto per classi dimensionali – continua il Rapporto – l’orientamento alla responsabilità sociale è più evidente nelle aziende maggiori ma è forte anche nelle più piccole. La principale differenza è nelle difficoltà economiche, che potrebbero limitare il welfare aziendale nel 61,5% delle microimprese (inferiori a 10 addetti) e solo nel 45% delle imprese maggiori (oltre 250 addetti)”. Le distanze tra settori produttivi non sono significative. “E invece da segnalare la forte correlazione con i livelli di welfare: le imprese con una maggiore esperienza di welfare aziendale hanno maturato una consapevolezza del proprio ruolo sociale molto più forte e diffusa”.
Quel che più conta, in questa ottica di welfare che fa bene all’impresa, è la correlazione tra i risultati di business e l’investimento a sostegno delle proprie risorse umane. Il fatturato per addetto è sensibilmente migliore nelle aziende ad alta intensità di welfare aziendale. Così come nettamente superiore alla media è la redditività. Un’altra importante correlazione da segnalare è quella tra il livello di welfare aziendale e la competitività internazionale. Anche la solidità finanziaria mostra segni di correlazione. “Ma tra i risultati aziendali quello di maggior valore sociale è il trend di crescita dell’occupazione” nota l’indagine. Nel periodo 2017-2019 l’occupazione è cresciuta mediamente – nel segmento di imprese esaminate – del 7,1%, ma il trend è stato più debole nei segmenti con il livello di welfare più basso (sotto la media: 3,4-5,7%), mentre il trend è stato molto più robusto (12,7%) nelle imprese con livello di welfare molto sviluppato.