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Patto di stabilità, nella Ue riparte la guerra di posizione

La crescita economica aiuta a ridurre l’indebitamento e gli investimenti favoriscono ulteriormente la crescita. Questo assioma è abbastanza evidente e implica la necessità di evitare la riduzione degli investimenti pubblici negli Stati dell’Unione europea. Anche il commissario europeo per l’economia, Paolo Gentiloni, ha voluto ribadire questo punto, affermando: “Non possiamo permetterci cali degli investimenti”.  Non a caso, durante l’ultima riunione dell’Ecofin in Slovenia, che ha coinvolto i ministri dell’Economia e delle Finanze dei ventisette Stati membri, l’attenzione era incentrata su una data specifica: il 1º gennaio 2023. Infatti, a partire dal nuovo anno, dovrebbero tornare in vigore le regole del Patto di stabilità e crescita, che sono state introdotte per controllare le politiche di bilancio dei Paesi membri.

Queste “politiche rigoriste” impongono un deficit pubblico non superiore al 3% del PIL e il rientro del debito che supera il 60% del prodotto interno lordo ad un ritmo di un ventesimo all’anno.

Un obiettivo che preoccupa particolarmente i Paesi con un alto livello di indebitamento, come l’Italia, la Grecia, il Portogallo, ma anche la Francia e il Belgio, in questa fase di ripresa post-pandemica, a causa degli effetti che potrebbe avere sulla crescita economica. Se tale obiettivo venisse confermato, potrebbe mettere in discussione ogni ottimismo sulle previsioni future, nonostante il rimbalzo registrato nei due ultimi trimestri.

La battaglia nell’Unione europea è in bilico. Se è necessario sottolineare la storia dei due fronti opposti – i Paesi del Nord da una parte e quelli dell’area mediterranea dall’altra – è importante notare che attualmente la situazione politica sta cambiando nei rapporti di forza, con conseguenze anche sul piano economico-finanziario. Un anno fa, per sbloccare le difficili trattative sull’emissione dei cosiddetti eurobond, i titoli di debito comuni, la Germania è stata decisiva, e in particolare la cancelliera Angela Merkel. La leader della CDU ha abbandonato la sua politica caratterizzata da rigore e razionalismo per favorire una risposta unitaria e solidale di Bruxelles alla “depressione” che stava colpendo l’Europa. Tuttavia, il prossimo 26 settembre, la cancelliera lascerà la scena politica tedesca insieme a quella europea, dove è stata un’indiscussa protagonista durante il suo quarto mandato. Ora l’Europa attende i nuovi equilibri a Berlino e si prevede che il nuovo cancelliere tedesco possa essere uno dei “falchi”, come Olaf Scholz, l’attuale ministro dell’Economia. Nel frattempo, l’Italia e la Francia non hanno intenzione di restare con le mani in mano e si muovono insieme per evitare la disattivazione della clausola di sospensione del Patto di stabilità all’inizio del nuovo anno. Almeno vorrebbero concordare regole più flessibili che consentano una riduzione realistica, ma non impossibile, del debito.

Da Roma arrivano segnali positivi e concilianti nei confronti dei partner più scettici. Il ministro dell’Economia, Daniele Franco, ha dichiarato: “Seguiremo comunque la strada della riduzione del debito”. E la “nuova stima” che verrà presentata nella Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza “sarà significativamente migliore rispetto a quella indicata nel Def”. (Documento di economia e finanza). Pertanto, si sta lavorando per rassicurare i Paesi “frugali” e avviare un dialogo che eviti uno scontro diretto, favorendo invece una discussione che affronti, in modo più oggettivo possibile, la riforma delle regole fiscali e di bilancio. La questione principale è la crescita economica e la necessità di promuovere investimenti significativi. Per raggiungere un accordo convincente ed evitare bruschi cambiamenti di rotta, il lavoro principale dovrà essere svolto dalla Commissione europea. Un’ipotesi potrebbe essere l’esclusione degli investimenti “verdi” dal calcolo del deficit e del debito. Ma sarà sufficiente?

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