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L’Antitrust chiede correzioni alla direttiva sul copyright

Le bozze dei decreti legislativi approntati dal governo per recepire le nuove direttive europee in materia di difesa del diritto di autore e di sviluppo del mercato dell’audiovisivo presentano problemi antitrust che governo e Parlamento dovrebbero correggere prima dell’approvazione finale della nuova legislazione.

L’Autorità garante del mercato e della concorrenza lo scrive in due diversi pareri inviati a tutti gli interessati, presidenti di Camera e Senato, di commissioni e poi governo e ministri interessati. Le obiezioni più gravi riguardano lo schema legislativo di recepimento della direttiva europea numero 790 del 2019 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale.

Sono le nuove regole che dovrebbero, fra le altre cose, garantire la tutela economica dell’editoria tradizionale dal saccheggio gratuito operato dalle grandi piattaforme, social e no, del web. Ma sono state scritte male, in modo impreciso e prevedono troppi vincoli tanto da risultare addirittura anticoncorrenziali. La direttiva europea definisce, riassume nel parere il presidente Roberto Rustichelli, l’oggetto da tutelare e i soggetti abilitati a vendere i diritti d’uso, anche in forma collettiva per conto di più editori o testate, lasciando però ampio spazio alla contrattazione fra le parti.

Poiché sono possibili citazioni da articoli e libri, o anche da filmati e canzoni, senza che nasca un diritto al pagamento per l’autore o l’editore, c’era bisogno di una definizione precisa che consenta “la distinzione tra l’opera che deve essere oggetto di remunerazione e la sua rappresentazione sintetica che non beneficia di tutela”, mentre lo schema predisposto in Italia fornisce “una definizione troppo generica e di difficile applicazione”.

Poi, scrive ancora l’Antitrust, nell’indicare i parametri per la definizione dell’entità dell’equo compenso, il prezzo da riconoscere agli autori, lo schema legislativo prevede “variabili quali la durata dell’attività e la rilevanza degli editori, nonché il numero di giornalisti impiegati, che lungi dal contribuire a quantificare l’apporto al risultato economico del contenuto citato, sono invece idonei a determinare improprie discriminazioni a sfavore degli editori nuovi entranti e di dimensioni minori, favorendo ingiustificatamente gli editori incumbent”. Di qui l’invito dell’Autorità a rivedere la bozza, ancora in corso di definizione, magari guardando a quanto fatto in Francia o Germania, che hanno già concluso l’iter di recepimento con formulazioni più soddisfacenti.

Nello schema di decreto legislativo in materia di servizi audiovisivi, che importa la direttiva 1808 del 2018, ad essere preso di mira è soprattutto l’articolo 51 della bozza. È la disposizione che si occupa delle “posizioni di significativo potere di mercato lesive del pluralismo nel sistema integrato delle comunicazioni” e della loro valutazione. Si ricorderà che la legge Gasparri, prevedeva un controllo congiunto fra Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e Antitrust per evitare che in questo settore così delicato si affermassero operatori in grado di condizionare l’opinione pubblica grazie alla loro forza di mercato. Ora il controllo viene affidato in via esclusiva all’Autorità di settore, ignorando l’Antitrust.

Per Rustichelli queste decisioni che saranno “assunte dall’Agcom, pur non attenendo alle dinamiche concorrenziali dei mercati, bensì al mantenimento del pluralismo, richiedono valutazioni sulla struttura dei mercati al fine di determinare l’esistenza di posizioni di significativo potere di mercato”. Pertanto, il numero uno dell’Antitrust ritiene che “un coinvolgimento funzionale dell’Autorità, quantomeno di natura consultiva, sull’analisi condotta in relazione a questi elementi deve ritenersi indispensabile”. Anche perché “la nuova disposizione attribuisce all’Agcom una discrezionalità non presente nella precedente versione della norma”.

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