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Confimea, la spinta programmatica delle micro imprese

“Siamo una realtà giovane, che vuole candidarsi a rappresentare le forze produttive del Paese e favorire progetti e investimenti a lungo termine. L’Italia è il Paese che cresce meno in Europa, per via dello squilibrio tra Stato e mercato, tra sistema pubblico e mondo imprenditoriale. Le nostre imprese chiedono l’avvio di un processo serio di spending review, con meno tasse, meno spese, meno privilegi, meno burocrazia e un mercato del lavoro più elastico: questo va fatto in fretta e senza indugi, e questo porteremo al Governo”. Da Gubbio, dove in questi giorni si sono riuniti gli Stati generali di Confimea Imprese, il presidente nazionale Roberto Nardella lancia la sfida.

Va creato “un circolo virtuoso anche al Sud, con un adeguamento dei contratti che aggredisca la disoccupazione e attiri gli investimenti. L’Italia deve ripartire, non può più aspettare. La nostra Confederazione conta 500 sedi al servizio delle associazioni datoriali di pmi, con oltre 262.162 imprese per un totale di circa 2.471.734 addetti: è tempo di avere un confronto, e noi siamo pronti per interloquire con il Governo affinché i fondi europei vengano spesi bene”.

Sul tavolo degli Stati generali dunque, il Pnrr e la transizione ecologica, il Made in Italy e la digitalizzazione, ma anche i problemi atavici che affliggono le pmi italiane – burocrazia, Fisco, costo del lavoro e difficoltà di costruire corridoi internazionali. Nel panel degli interventi, Cosimo Maria Ferri, membro della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, Nicola Carè, membro della Commissione Difesa della Camera dei Deputati, la senatrice di Forza Italia Urania Papatheu, il consigliere parlamentare Renato Loiero, Direttore del Servizio Bilancio del Senato e Silvia Mei, Direttrice Generale di Confimea.

Dai confronti è emersa l’immagine di un’Italia che, aldilà delle riforme strutturali delle quali avrebbe bisogno, da molti anni cresce meno dei suoi competitors, ha una bassa dinamica della produttività totale dei fattori e non investe. Secondo il giornalista Francesco Condoluci, moderatore del meeting, “i debiti senza prospettive seppelliscono il Paese sotto una montagna di finanziamenti per i sussidi. Il mondo delle imprese deve riuscire a farsi capire anche al Sud, che continua a vivere di assistenzialismo nonostante possieda risorse territoriali, umane e produttive straordinarie e che andrebbero valorizzate”.

Luca Malcotti, Segretario Generale Ugl terziario, ha sottolineato che “secondo una valutazione delle retribuzioni nell’Unione Europea degli ultimi trent’anni, l’Italia è l’unico Paese nel quale gli stipendi sono diminuiti. Ne consegue un gap di competitività: l’impresa italiana ha un costo aziendale per lavoratore più alto dei suoi concorrenti, mentre il lavoratore ha una retribuzione più bassa dei propri omologhi. Questo combinato disposto spiega il pantano nel quale siamo. Il PNRR deve servire a sciogliere i nodi del Paese, altrimenti resta un’occasione persa e un errore strategico che non possiamo permetterci”.

Il maggiore pericolo che oggi colpisce le imprese italiane è la delocalizzazione: ne ha parlato il responsabile di Confimea per il Mediterraneo, Marco Bourelly, secondo il quale piccole e grandi aziende guardano con interesse all’Africa, in particolare alla Tunisia – dove la tassazione è pari a zero, con la possibilità di mantenere le proprie sedi operative in Italia.

Il Consigliere parlamentare Renato Loiero ha illustrato le schede del nuovo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e la suddivisione delle risorse, specificando che i 191,5 miliardi di euro destinati all’Italia “si accompagnano a una serie di riforme abilitanti, che dovrebbero consentire a queste risorse di rilanciare l’economia dell’offerta”. Il Piano, è stato spiegato, si sviluppa intorno a tre assi strategici condivisi a livello europeo: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, inclusione sociale. 68,6 miliardi sono stanziati con gli obiettivi principali di migliorare la sostenibilità e la resilienza del sistema economico e assicurare una transizione ambientale equa e inclusiva, mentre 31,9 miliardi di euro sono destinati a rafforzare il sistema educativo, le competenze digitali e tecnico-scientifiche, la ricerca e il trasferimento tecnologico. Oltre 49 miliardi devono sostenere l’innovazione del sistema produttivo e investire nei due settori chiave per l’Italia, turismo e cultura. Le altre missioni lungo le quali si sviluppa il PNRR sono “Infrastrutture per una Mobilità Sostenibile”, “Inclusione e Coesione” e “Salute”. Il Piano prevede 82 miliardi al Mezzogiorno e un investimento significativo sui giovani e le donne. Per facilitarne lo stato di attuazione e di modernizzazione del Paese sono attese, infine, le riforme della Pubblica Amministrazione e della Giustizia.

Cosimo Ferri ha ribadito la necessità di coinvolgere gli imprenditori nell’accesso alle risorse delle Pnrr ma anche nei progetti di semplificazione, de-burocratizzazione e di una giustizia civile più efficiente. “Oggi l’economia può ripartire – dice Ferri – solo se lo Stato e il Governo aiutano veramente le imprese con una pressione fiscale più bassa, un costo del lavoro minore, con gli incentivi che arrivino in tempo. Bisogna poi anche aiutare le imprese in crisi. In Parlamento stiamo lavorando a un Codice della crisi d’impresa che guardi all’imprenditore in difficoltà e non si limiti a intervenire quando l’impresa è già fallita. Una misura della quale possa beneficiare non soltanto quell’imprenditore, ma il Paese e la ripresa economica”.

Secondo Nicola Carè, deputato e rappresentante mondiale dei Segretari Generali delle Camere di Commercio Italiane all’Estero, ci sono molti economisti e molti Paesi europei che non credono nella capacità dell’Italia di poter spendere bene le risorse. “Io credo nel Governo Draghi e nella nostra volontà di fare una rivoluzione vera per garantire anni di sviluppo economico ma, per avere ciò, bisogna concentrarsi su tre punti: formazione, innovazione ed export, che rappresenta un pezzo importante del Pil italiano. Associazioni come Confimea – continua Carè – fanno accordi-quadro con aziende internazionali fondamentali per il trasferimento del know-how senza la delocalizzazione delle imprese. Auspico che il Governo prenda in considerazione il Documento programmatico confederale di Confimea, frutto del lavoro degli Stati Generali di Gubbio: io lo sottoscrivo e lo sostengo fortemente”.

Infine, Silvia Mei ha sottolineato il concetto di cultura d’impresa aperta all’innovazione: “Oggi bisogna essere capaci di sfruttare al meglio questi soldi. Gli stakeholder devono accompagnare e sostenere gli imprenditori e le piccole imprese, affinché possano acquisire le competenze necessarie e la conoscenza del territorio sul quale si muovono, cosicché non si perseveri solo nelle attività tradizionali”.

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