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Videogames, 1000 posti di lavoro con investimenti Pnrr

videogiochi

In Italia, il settore dei videogames conta oggi 160 imprese, un totale 1600 impiegati (in maggioranza under 36) e un fatturato di 90 milioni di euro. Numeri che, secondo la ricerca condotta dal Censis e Iidea, potrebbero crescere ulteriormente. Investendo nel gaming 45 milioni di euro in cinque anni – cioè la somma prevista dal Pnrr per il finanziamento delle piattaforme di servizi digitali per gli sviluppatori e le imprese culturali – il fatturato delle imprese italiane del settore salirebbe a 357 milioni di euro entro il 2026. Un aumento capace di portare, in soli cinque anni, circa 1.000 posti di lavoro qualificato per i giovani e di attivare complessivamente 360 milioni di euro di investimenti privati e 81 milioni di gettito fiscale aggiuntivo. Per questo motivo, spiega Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis “è giunto il momento di accendere un cono di luce sul settore del gaming”.

Non solo un gioco

I videogiochi, si sa, divertono e tengono compagnia nel tempo libero. È così per il 71,6% degli italiani, addirittura per l’85,9% dei giovani. Sono coinvolgenti, appassionanti, capaci di emozionare. Ma fortuna del gaming non si lega però – come si potrebbe pensare – al semplice intrattenimento. I dati suggeriscono una lettura diversa e prismatica del mondo del gaming.

Il fatto che siano intuitivi e tendenzialmente semplici da utilizzare aiuta i gamers a sviluppare nuove abilità, che si rivelano poi essenziali nel modo del lavoro, come il problem-solving e la capacità di prendere decisioni rapidamente; non a caso, il 45,8% degli italiani li ritiene utili per la selezione e la valutazione delle risorse umane, mentre il 44,9% li ritiene un buon supporto alla formazione professionale.

I videogiochi, per gli italiani, svolgono poi un ruolo che si potrebbe definire pedagogico su più livelli. Innanzitutto, si sono dimostrati un utilissimo mezzo di divulgazione scientifica, diffondendo nozioni importanti in modo accessibile per tutti: il 51,6% degli italiani, infatti, li considera un valido sostegno alla didattica scolastica. Sono inoltre funzionali allo sviluppo del turismo, se ambientati in luoghi reali che possono mostrare (e quindi promuovere). Altrettanto sorprendente, il valore terapeutico di alcuni videogiochi, ideali per determinate e complesse patologie, come il deficit dell’attenzione o l’iperattività.

E ancora, sbaglia chi pensa che i videogiochi causino una tendenza all’antisocialità. L’immagine stereotipata del gamer rinchiuso nella propria stanza, solo e immobile per giorni davanti ad uno schermo, non potrebbe essere più lontana dalla realtà. Non solo infatti i videogiochi favoriscono la socializzazione e incoraggiano le attività di gruppo, ma soprattutto stimolano un modello di competizione definita “sana” da quasi la metà degli intervistati e addirittura “volano per la relazionalità” dal 29,1%. In generale, comunque, il giudizio sugli esports – le competizioni di videogiochi – è sicuramente un giudizio positivo: per il 73,3% sono una esperienza originale, diversa dalle gare sportive tradizionali.

Insomma, il gaming sembra avere un valore che supera il solo aspetto economico e occupazionale, dimostrando di essere anche “una risposta sociale ai bisogni delle persone, una soluzione innovativa per la didattica, una base di confronto e di scambio relazionale”, come afferma Marco Saletta, presidente di Iidea.

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