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Dal patrimonio agli asset digitali: una questione di trust

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Giuseppe Macaluso, partner della trust company svizzera Capital Trustees, parla di uno strumento sempre più diffuso. La versione originale di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di novembre 2021.

UNO STRUMENTO FLESSIBILE, a garanzia della segregazione e valorizzazione del patrimonio, anche per la gestione degli asset digitali, dalle criptovalute agli Nft (Non fungible token). Il trust vive una seconda giovinezza dopo la sua definizione dal punto di vista normativo. Dal regolamento dell’assetto patrimoniale delle coppie alla successione nelle famiglie imprenditoriali, all’utilizzo per beni agricoli e artistici: si ricorre sempre di più a questo tipo di strategia di ottimizzazione patrimoniale, in connessione con la realtà che cambia di continuo, con fenomeni come la pandemia Covid-19 che ha posto l’esigenza di predisporre strategie di protezione dei beni.

“Il trust è sempre più utilizzato, è molto efficiente ma deve essere compreso per essere reso applicabile. Di base, è cambiata la percezione del trust, scalfita in passato da alcune maldestre gestioni, mentre ora è scelto anche per la sua flessibilità e la regolamentazione delle figure professionali che se ne occupano”, spiega Giuseppe Macaluso, partner della trust company svizzera Capital Trustees Ag.

“Il trust si rivela ideale per la pianificazione patrimoniale, sul lungo periodo, un’attività sempre più complessa, specialmente quando coinvolge famiglie articolate in cui spesso convivono necessità e interessi diversi, fattori che possono incidere sulla frammentazione del patrimonio. Non solo separazioni e divorzi, ma anche liti tra eredi, cause legali”.

In particolare, il trust è indicato per gestire i rapporti patrimoniali familiari e le dinamiche successorie. E questo avviene perché la segregazione reale dei beni, una volta conferiti in trust, costituisce un patrimonio separato rispetto a quello del disponente, del trustee e dei beneficiari, quindi insensibile ai loro avvenimenti personali. Più flessibilità, dunque, rispetto ad altri istituti patrimoniali – specie nei rapporti tra coniugi e coppie – come il fondo patrimoniale, utilizzato in Italia, che presuppone il vincolo matrimoniale o l’unione civile altrimenti cessa di esistere e i beni diventano aggredibili.

Un fattore importante, considerando l’evoluzione nelle dinamiche dei rapporti personali, con l’aumento di separazioni e divorzi. E il trust si lascia preferire anche rispetto alla polizza vita, cui ricorrono le famiglie ma che, con il decesso dell’assicurato, vede l’immediata liquidazione delle somme ai beneficiari: “Spesso la liquidità versata nella polizza vita finisce a persone che non possono amministrarla o non sono in grado di farlo. I beni conferiti in trust, invece, saranno amministrati dal trustee a favore dei beneficiari che potranno fruirne secondo tempi e modalità predefinite, al fine di evitarne la dispersione”.

Macaluso sottolinea che l’utilizzo del trust è consigliato anche per la valorizzazione di beni agricoli, molto spesso gestiti da un’impresa familiare, che rappresenta il contesto in cui il trust mostra tutta la sua efficacia. Il trust permette infatti di soddisfare i membri della famiglia, tra chi è interessato alla gestione del bene e chi vuole elevarne la patrimonializzazione.

Gli obiettivi dell’imprenditore saranno infatti trasposti nell’atto di trust con il fine di regolare modalità e tempi per la destinazione del patrimonio alle future generazioni, disciplinando i rapporti familiari e stabilendo preventivamente assetti proprietari e ruoli in azienda. Alcune realtà conosciute, come quella dei Marchesi Antinori (produttori di vini ‘grand cru’) hanno deciso di affidarsi al trust per la trasmissione delle proprie competenze, segnando la strada per le imprese agricole (e non) familiari che vogliono preservare valore e identità nel tempo.

Il trust è uno strumento utile anche per la valorizzazione delle opere d’arte, soprattutto per tutelare il bene (e quindi collezionisti, investitori e artisti) con un preciso piano di gestione e la determinazione della governance nel lungo periodo. Rispetto alle fondazioni, collezionisti e artisti trovano quindi nel trust maggiore flessibilità nelle modalità di protezione e valorizzazione del proprio lascito, beneficiando di una struttura che regola i flussi finanziari e ottimizza i costi di mantenimento, prevenendo inoltre la dispersione del patrimonio artistico a seguito di successioni o eventuali cause legali.

Secondo Macaluso, non c’è un’età di riferimento per iniziare a pensare a un trust, “piuttosto si ragiona in base all’importanza dei patrimoni. Noi come Capital Trustees AG ci occupiamo di patrimoni anche di media entità, ci sono diversi trust attivati da under 30. Spesso si delinea la figura di un professionista che ha accumulato una serie di beni e intende svincolarli dai rischi legati alla sua attività professionale, a garanzia del passaggio di consegne sicuro e programmato per i figli, per esempio. Ma ci sono casi di trust anche per la tutela da se stessi, nel caso di persone con dipendenze, o i trust degli sportivi, che accumulano un patrimonio nella prima parte della loro carriera, con il trustee che garantisce una gestione adeguata nel tempo”.

La versione completa di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di novembre 2021. Ci si può abbonare al magazine di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

 

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