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Incognita inflazione: Fed e Bce sempre più distanti

La fase attuale è caratterizzata da un’ampia incertezza a causa delle nuove varianti del virus, e l’aumento dell’inflazione nelle principali economie mondiali rende estremamente difficile fare previsioni. Nessuno sa quanto durerà effettivamente l’incremento dell’inflazione e la decisione di Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, di non considerarlo più un fenomeno “transitorio” apre nuove prospettive oltre l’Atlantico.

Anche l’Ocse ha certificato oggi l’aumento generalizzato dei prezzi, che a ottobre ha raggiunto il 5,2% su base annua, rispetto al 4,6% di settembre e all’1,2% di ottobre 2020, raggiungendo il livello più alto dal febbraio 1997. Come altri importanti organismi internazionali, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico conferma che questo andamento nei Paesi industrializzati è stato causato principalmente dal costo dell’energia, che è aumentato del 24,4%, oltre cinque punti percentuali in più rispetto a settembre, quando si attestava all’18,9%. Questo raggiunge il suo picco più alto da luglio 1980.

Tuttavia, la perdita del potere di acquisto non sta ricevendo la stessa reazione nelle principali istituzioni monetarie dell’Occidente, come la Fed e la BCE. È probabile che questa discrepanza si accentui nelle prossime settimane. Il 15 dicembre, il Federal Open Market Committee annuncerà, in linea con le dichiarazioni più recenti di Powell, il ritiro anticipato del piano di acquisti di titoli pubblici. Pertanto, la Fed ha l’intenzione di non insistere con gli stimoli monetari ed è probabilmente pronta a cambiare la propria politica sui tassi di interesse. Negli Stati Uniti, la preoccupazione principale riguarda ancora l’eccesso di domanda rispetto all’offerta, che non riesce a decollare a causa di problemi che, secondo le previsioni oltreoceano, dureranno più a lungo del previsto.

Il 9 dicembre sarà il turno del Consiglio direttivo della Banca Centrale Europea di delineare le prossime mosse di politica monetaria. Come agirà Francoforte? È certo che non adotterà politiche espansive e, se necessario, è pronta addirittura a prolungarle. Il vicepresidente della BCE, Luis de Guindos, si è occupato di rassicurare nei giorni scorsi sui piani dell’istituto. Ammette “Le prospettive sull’andamento dei prezzi”, aggiunge, “non sono del tutto chiare. Quel che è certo è che i fattori alla base dell’alto tasso di inflazione che stiamo vivendo non dureranno, e dovremmo vederli svanire il prossimo anno”. L’Eurotower riconosce che sono stati sottovalutati “gli sviluppi nel 2021” del caro prezzi perché “gli effetti legati ai problemi di approvvigionamento e ai costi energetici sono stati più forti di quanto previsto”.

Tuttavia, la BCE guarda con ottimismo al 2022 e al raggiungimento del 2%, che rappresenta il livello di stabilità dei prezzi. “La tendenza al rialzo possa essere più duratura” ma ciò non implica alcun passo indietro: il programma di acquisti di emergenza legato alla pandemia (Pepp), ideato per affrontare la crisi, alle dinamiche dell’inflazione, alle nostre previsioni economiche”, afferma De Guindos, “e all’evoluzione della situazione sanitaria. Non andremo avanti con il tapering come ha fatto la Federal Reserve statunitense” concludendo “gli acquisti netti che termineranno a marzo potrebbero essere ripresi”.

Ma, come detto in precedenza, la situazione è complicata. La zona euro si affida molto alle azioni del programma di allentamento quantitativo guidato da Christine Lagarde e ai reinvestimenti del Pepp. Tuttavia, ci sono variabili difficili da controllare, come quelle legate alle catene di approvvigionamento e ai prezzi energetici. Vi è anche un dato su cui riflettere: un’ulteriore inflazione aumenta il PIL nominale, che costituisce il denominatore del rapporto tra Debito-PIL. Ciò significa che esercita una pressione al ribasso su tale rapporto, e alcuni paesi potrebbero trarne benefici in termini di bilancio pubblico. Tuttavia, questo è un gioco rischioso, poiché l’erosione del potere d’acquisto ha inevitabilmente conseguenze più pesanti sui redditi bassi, che sono già stati duramente colpiti dalla crisi del 2020.

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