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Fisco, appello dei tributaristi: non abolire il patent box

Il decreto fiscale, all’articolo 6, prevede la semplificazione del patent box, che è un regime opzionale di tassazione agevolata per i redditi derivanti dall’utilizzo di software protetto da copyright, brevetti industriali e marchi d’impresa. Un gruppo di tributaristi ha firmato un appello, sostenendo che “in realtà più che di semplificazione si tratta di un’abrogazione tout court dell’agevolazione, una cancellazione di fatto della misura per lo sfruttamento di beni derivanti da proprietà intellettuale. Una scelta che danneggia la possibilità di pianificazione delle aziende e allontana gli investimenti esteri nel nostro Paese”.

Ecco il testo dell’appello (in calce le firme dei sottoscrittori):

Autorevole dottrina ha rilevato le criticità di questa disposizione, che, per un verso, risulta in contrasto con il principio di irretroattività delle norme poiché incide sui periodi di imposta 2020 e 2021 – e, per altro verso, presenta delle lacune in ordine al regime transitorio. Senza considerare che l’eliminazione porta con sé le seguenti criticità, con un trade off di segno negativo persino per il bilancio dello Stato:

1-si tradisce il principio di affidamento, con impatto negativo sugli investimenti effettuati a suo tempo e in corso di realizzazione da parte delle imprese sugli IP;

2- si disincentivano – anche – le imprese provenienti dall’estero, le quali confidano in un framework normativo di riferimento stabile e con efficacia pluriennale, al fine di allocare investimenti e risorse nel territorio dello Stato;

3- viene snaturato uno stimolo all’innovazione, ormai “metabolizzato” dalle imprese, dai consulenti e dall’amministrazione finanziaria, trasformando un meccanismo che detassa(va) il reddito d’impresa attribuibile agli IP in uno strumento che premia i costi di R&S, di guisa che non viene più beneficiata l’impresa che ottiene dei risultati positivi, tra l’altro parzialmente imponibili, ma quella che spende di più, a prescindere dalle performance;

4- si introduce un beneficio fiscale selettivo e discriminatorio, poiché la “maggiorazione” del 90% dei costi di R&S premia le aziende di grandi dimensioni, quelle dotate di cospicue risorse finanziarie da impiegare in attività di R&S, a svantaggio delle “start up” e delle “PMI innovative”, che sviluppano i brevetti, il software, il know-how e simili, con esborsi più contenuti e con un notevole potenziale di crescita patrimoniale e reddituale;

5- il beneficio (abrogato) incentivava le imprese non residenti che (ri)allocavano in Italia gli IP e quindi vengono frenati gli investimenti provenienti dall’estero; in senso inverso, in contrasto con la ratio del PB, viene “stimolata” indirettamente la riallocazione all’estero degli asset immateriali e profittevoli, con conseguente trasferimento della sede delle società verso giurisdizioni (da ultimo anche Israele), che tuttora contemplano il regime PB, con tassazione agevolata dei redditi imponibili da IP realizzati nel territorio di quegli Stati;

6- viene azzerata in modo repentino e contraddittorio una misura fiscale – ormai sperimentata – di recente rafforzata e davvero “semplificata”, a seguito del nuovo “regime di autoliquidazione”, per effetto del quale il contribuente poteva determinare in maniera autonoma – senza ruling, con “penalty protection” e aumento della “tax compliance” e del gettito – la detassazione del reddito da IP, onde indicarla direttamente nella dichiarazione da inviare ai fini IRES ed IRAP;

7- la “super-deduzione” sembra incidere in modo “semplice” sui costi di R&S connessi alla implementazione degli IP utilizzati dall’azienda; ma tale “semplificazione” è solo apparente, considerati gli elementi di incertezza in ordine: i) alla individuazione precisa nell’an e nel quantum degli oneri rilevanti, ii) al “grado” di connessione e di accrescimento che deve intercorrere tra i medesimi costi e gli IP; iii) alla rilevanza, tra gli altri, del requisito della “novità”, da intendersi in termini assoluti o soltanto in senso incrementale?; iv) alla “gestione” dei divergenti valori civilistici e fiscali dei medesimi componenti negativi; v) al regime dell’eventuale perdita fiscale di periodo, in termini di riporto in avanti e di “circolazione” nell’ambito del consolidato fiscale, al quale aderisce l’impresa innovativa;

8- l’eliminazione del PB impatta negativamente anche sulla connessa e collaudata disciplina di “penalty protection”, in presenza della relativa “documentazione idonea”, pure di recente semplificata per le PMI – cfr. da ultimo il provvedimento del direttore dell’AdE n. 658445 del 30 luglio 2019 – e adesso anch’essa tutta da rielaborare, in attesa dell’apposito decreto di attuazione, da emanare peraltro senza la previsione di alcun termine perentorio;

9- probabilmente tali delicati e “tecnici” elementi di incertezza costituiranno la fonte di innesco di numerosi contenziosi con l’Agenzia delle entrate, con ulteriore ingolfamento dei ruoli delle Commissioni tributarie e della Cassazione, tra l’altro poco avvezze della materia, analogamente a quanto sta accadendo per i crediti di imposta R&S, reputati “inesistenti”, nell’assunto del difetto del requisito della “novità” (come desumibile però soltanto ex post dal Manuale OCSE di Frascati);

10- viene cancellato anche il “cumulo virtuoso” tra la detassazione PB ai fini IRES ed IRAP e l’utilizzo dei crediti di imposta R&S in compensazione per il pagamento di tutti i debiti indicati nel modello F24, e quindi tali benefici diventano “alternativi” fra loro, mentre sino ad oggi operavano contemporaneamente in modo sinergico;

11- si rivela soltanto apparente anche la “misura compensativa” a beneficio dell’impresa, che reintroduce i marchi fra gli asset agevolabili, atteso che generalmente i costi relativi sono di modesto ammontare;

12- il “Patent Box semplificato” soltanto a prima vista sembra avvantaggiare le “start up” e le “PMI innovative”, “spina dorsale” e boosting  del “made in Italy”, che nei primi anni dalla costituzione non realizzano redditi imponibili, poiché sostengono i costi di impianto e di avviamento dell’attività d’impresa; tuttavia, dopo tre/cinque anni, il “PB abrogato” incide(va) positivamente al momento dell’exit ovvero di acquisizione dell’impresa da parte degli investitori, anche esteri, i quali nel prezzo di acquisto computano pure il beneficio da patent box, i.e, la parziale imponibilità dei redditi realizzati dagli IP, che dunque invoglia(va) vieppiù a trattenere l’allocazione di tali asset nel nostro Paese;

13- anche la disciplina transitoria, ovvero delle opzioni tra “previgente” e “semplificato” PB”, con modalità irrevocabile e pluriennale, in quanto un po’ lacunosa, impone alle imprese di effettuare un complicato tax planning (per il passato e per il futuro), in relazione alla convenienza tra i diversi e “interconnessi” regimi incentivanti (i.e., utilizzo in compensazione dei crediti di imposta R&S, a carattere temporaneo, previgente PB, maggiorazione del 90% dei costi R&S, a carattere vincolante e pluriennale, cioè per 5 anni).

Dunque tali criticità – seppure incidenti su una norma di abrogazione – non risultano affatto in linea con alcuni principi di rango costituzionale. E tale contrasto non appare giustificato neppure alla luce del “sovraordinato” principio del “pareggio di bilancio” (art. 81 Cost.), tenuto conto che, come dimostrato, il “PB semplificato” comporta “una fuga” all’estero degli IP e dei relativi redditi imponibili, incluso l’annesso “indotto”, ovvero verso altre giurisdizioni di Stati che contemplano l’agevolazione.

Infine l’abrogazione del PB non è giustificata da un problema di copertura di bilancio dello Stato, poiché lo stesso incentivo nel breve – medio periodo ingenera(va) un aumento del gettito per effetto degli investimenti in beni immateriali e del relativo “indotto”. Per tali e tanti motivi, dunque, è auspicabile che, in sede di conversione in legge  si ponga rimedio alla “semplificazione”, con un’abrogazione dell’abrogazione.

  1. Edoardo Belli Contarini, partner di Fantozzi & Associati
  2. Marco Lombardi, Studio Lombardi
  3. Alberto Improda, managing partner di Studio Legale Improda
  4. Claudio Giordano, founding partner di Nunziante Magrone
  5. Francesco Casale, docente di Diritto commerciale alle università di Camerino e di Roma “Tor Vergata”
  6. Massimiliano Pappalardo, partner di Ughi e Nunziante
  7. Fedele Gubitosi, managing partner di Studio Rock
  8. Valerio Ficari, ordinario di Diritto Tributario all’Università degli Studi di Roma Due “Tor Vergata”
  9. Eugenio Briguglio, partner di Biscozzi Nobili Piazza
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