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Il nuovo welfare comincia dalle agenzie per il lavoro

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Il nuovo welfare dipende dal “nuovo lavoro”. L’evoluzione delle organizzazioni e le politiche (soprattutto quelle attive) che saranno messe in campo per favorire la nuova occupazione non mancheranno di influenzare il nuovo perimetro della protezione sociale, che ormai diventa uno dei fattori di maggiore attrattività per i nuovi impieghi.

Il fenomeno internazionale delle dimissioni dal lavoro, durante le ultime ondate della pandemia, testimonia una nuova percezione del lavoro, da parte dei lavoratori. La maggiore qualità richiesta al luogo di lavoro – a prescindere dalla frequenza con cui si frequenterà il luogo di lavoro nel tempo post-Covid – insieme ai processi di formazione assicurati e a una complessiva attenzione alle garanzie di assistenza sanitaria e di benessere complessivo vogliono dire un “nuovo welfare”.

“In Italia questo si incrocia con un piano di politiche attive per il lavoro che il governo sta predisponendo, ma che ancora non condivide con le agenzie per il lavoro” denuncia Alessandro Ramazza, consigliere delegato di Randstad Group e presidente di Assolavoro, l’associazione che rappresenta proprio le Agenzie per il lavoro. Il programma Gol (Garanzia di occupabilità dei lavoratori) secondo il governo sarà in grado di favorire la transizione del lavoro durante la pandemia. Sulla carta ci sono 4,9 miliardi di investimenti “che continuano a essere finalizzati in 20 diversi sistemi di gestione della risorsa lavoro, tante sono le Regioni, alle quali è affidato il ruolo pubblico di governo del mercato del lavoro”, rammenta Ramazza, attraverso la rete degli oltre 500 Centri per l’impiego.

“Peccato che manchi una politica nazionale – aggiunge il presidente di Assolavoro – capace di armonizzare le realtà territoriali. Noi abbiamo chiesto una cornice nazionale e abbiamo chiesto un confronto, forti della nostra esperienza del mercato del lavoro, ma non siamo ancora stati chiamati dal Governo”. Il ‘j’accuse’ è fermo nei toni, ma non insegue polemiche. E’ più forte il rammarico, condiviso con Maurizio Del Conte, il presidente di Afol l’Azienda per la Formazione, l’Orientamento e il Lavoro della Città Metropolitana di Milano: “Il Governo non ha affrontato il problema della regionalizzazione delle politiche attive per il lavoro, e questa frammentazione in venti scenari ci impedisce di fare qualunque operazione di scala. C’è un problema nazionale nel lavoro, che viene sottostimato”.

Per Ramazza c’è la necessità di condividere le banche dati pubbliche che “fotografano i flussi del lavoro, parlo di Inps, Inail e Agenzia delle Entrate. C’è una incomprensibile gelosia a non condividere i dati con chi, come noi, gestisce il mercato del lavoro”. E aggiunge: “C’è ancora una demonizzazione del privato; tutto si fa ancora privilegiando il pubblico a danno di che, come il privato, ha dimostrato capacità ed efficienza”. Eppure proprio il sistema delle Agenzie per il lavoro ha consentito di sostenere la criticità di un mercato in continua evoluzione, dove la transizione avviene tra settori merceologici, tra aziende, ma anche dentro le aziende. “Servirebbe una nuova narrazione – conclude Ramazza – che sappia dare conto della positività degli interventi svolti dalle nostre strutture private, a partire dai processi di formazione e di riqualificazione dei lavoratori”.

I percorsi formativi sono sempre più spesso inseriti nell’orizzonte stabile del nuovo welfare: le aziende capaci di accompagnare i propri collaboratori nel cambiamento in atto, saranno quelle capaci di offrire un vantaggio competitivo capace di attrarre i migliori talenti in uscita dalle scuole e dalle università.

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