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Patuano (A2a): La sostenibilità passa dalla capacità di immaginare il futuro

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Marco Patuano è oggi uno dei dirigenti d’azienda italiani più stimati e apprezzati nel nostro Paese e all’estero, presidente del Consiglio di amministrazione e del Comitato per la sostenibilità e il territorio del Gruppo A2A, Vicepresidente di UTILITALIA e membro del board esecutivo della Scuola Politica “Vivere nella Comunità”. Classe 1964, laureato in Finanza all’Università Bocconi di Milano, Patuano ha iniziato la sua carriera nell’ambito delle Telecomunicazioni contribuendo attivamente alla nascita della start up TIM e al suo sviluppo in America latina. Ha ricoperto incarichi di responsabilità nel Gruppo Telecom Italia fino ad assumerne la carica di Amministratore Delegato dal 2011 al 2016. Nel Cda del Milan dal 2017, dal 2019 opera come Senior Advisor per Nomura ed è Strategic Advisor e Board Member of di Digital Value.

Lo abbiamo incontrato per conoscere più da vicino i suoi progetti, il suo impegno attivo nella Scuola Politica “Vivere nella Comunità”, la sua visione aziendale e le sfide del futuro prossimo che lo aspettano, prime fra tutte la transizione energetica e l’innovazione digitale.

Presidente Patuano, lei è uno dei membri del Board Esecutivo della Scuola Politica “Vivere nella Comunità”. Cosa significa per lei essere coinvolto in questo progetto formativo così prestigioso a favore dei giovani?

La dimensione politica, che si va a sommare alla dimensione economica, sociale e culturale, è assolutamente fondamentale per lo sviluppo dei giovani e quindi della classe manageriale che noi dobbiamo immaginare per il nostro Paese. Infatti, moltissime delle scelte che guidano la vita di un’impresa sono scelte che hanno una dimensione politica. In questo momento nelle aziende si parla tanto dei cosiddetti fattori ESG (Enviromental, Social, Governance), in cui la “G” di Governance e la “S” di Social, a loro volta, hanno una dimensione politica. Oggi quelle ambientali sono tematiche al centro del dibattito politico, che determinano enormi investimenti e la competitività di un sistema-Paese. Tutto questo è riconducibile alla dimensione politica, nel mio caso, in particolare, di politica economica. Questo per me è un elemento di straordinaria importanza per la formazione di un giovane manager.

Qual è la missione che porta avanti la Scuola Politica, voluta dai Professori Capaldo e Cassese di cui lei fa parte? Quali strumenti e competenze si propone di fornire agli iscritti per affrontare le sfide dell’oggi e del domani?

Fino a non molto tempo fa c’era un’espressione che andava molto di moda, ovvero la “dimensione strategica”: la parola “strategia”, molto affascinante, rischia però di essere una parola abbastanza vuota. Spesso e volentieri al termine strategico si associa qualcosa che non richiede di essere dimostrato, proprio perché strategico. La verità è che la dimensione strategica fa riferimento a due concetti: un concetto di vision, che include la capacità di proiettare le dinamiche in un futuro più o meno vicino; e un secondo concetto che riguarda la nostra capacità di far accadere queste cose, ovvero l’execution. Vision ed execution intimamente determinano la strategia realizzabile. Questo tema, anche se sviluppato a differenti livelli, non cambia nella sostanza. Se si immagina, ad esempio, di essere un grand commis dello Stato, si ritroverà a dover orientare le scelte di politica economica e industriale sulla base di quella che è una visione; una visione di dove andrà il mondo, di come sarà fatta la società, di quali saranno gli equilibri. Pensiamo a tematiche come le migrazioni, il settore industriale su cui investire o, ancora, l’ambiente. Una volta stabilite queste vision, arriverà però un momento in cui ci si dovrà porre la domanda su come renderle concrete, perché altrimenti resteranno nella dimensione politico-utopica, piuttosto che nella dimensione politico-fattuale. E noi non siamo qui per fare utopia, siamo qui per far accadere le cose.

Da maggio del 2020 è Presidente di A2A, Life Company che opera nei settori ambiente, energia, reti e tecnologie per le città intelligenti. Il vostro Piano Strategico 2021-2030, per il quale avete stanziato 18 miliardi di investimenti, si propone di contribuire alla realizzazione degli  Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 ONU. In cosa consiste nello specifico questo Piano e quali progetti prevede?

Noi ci occupiamo di due macro-temi che sono al centro del dibattito di politica economica dell’Europa in questo momento. Uno è il mondo della transizione energetica e l’altro è il mondo dell’economia circolare. Si tratta di due settori cruciali per gli sviluppi non solo del panorama italiano, ma anche di quello europeo. A2A si è posta l’obiettivo di una grande accelerazione industriale in entrambi gli ambiti. Nel settore della transizione energetica possiamo declinare questo obiettivo nello sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, nell’accompagnamento della transizione sostenibile nel mondo della mobilità, tutta una serie di percorsi di ricerca e di sviluppo su quelle che sono le nuove e più avanzate tecnologie per un mondo che sarà comunque caratterizzato da un complesso mix di risorse. Oggi il mancato contributo di una delle sole fonti del mix energetico, in particolare del gas proveniente dalla Russia, sta determinando un’importante situazione di disagio competitivo del sistema industriale italiano. Poi c’è l’economia circolare. Questo settore ha un impatto immediato e diretto sul Pianeta. Si tratta di un tema sicuramente culturale, ma anche lo specchio di un gap infrastrutturale degli impianti nel nostro Paese. Su questo non dobbiamo avere paura di investire: il nostro piano industriale, non a caso, prevede investimenti per vari miliardi di euro destinati all’economia circolare.

Gli obiettivi, sia italiani che europei, legati alla decarbonizzazione e alla riduzione delle emissioni, ci impongono di accelerare la transizione energetica dalle fonti fossili a quelle rinnovabili. Cosa sta facendo nel concreto A2A per rispettare questi obiettivi nell’ambito della transizione energetica?

A2A, in primis, ha di molto aumentato la propria dotazione di capitali per investimenti in fonti energetiche rinnovabili (siano esse il fotovoltaico o siano i parchi eolici), che determina un aumento della quota di energie rinnovabili all’interno del mix energetico nazionale. A tendere tutti noi dovremo aumentare in modo significativo l’indipendenza dalle fonti fossili. Esistono però una seria di alternative: il mondo non è fatto solo delle rinnovabili poc’anzi citate. Come A2A stiamo investendo molto, ad esempio, nel biometano, con il quale stiamo sostanzialmente chiudendo in modo virtuoso il ciclo dei rifiuti alla base dell’economia circolare. Tutti noi produciamo rifiuti organici, e da questi rifiuti dobbiamo riuscire quanto più possibile a produrre metano per avere metano verde. Non basta lavorare solo sulle fonti, è necessario intervenire anche sulle reti, perché le città, consumando sempre più elettricità per uso domestico, stanno diventando sempre più energivore, determinando un enorme stress sulle infrastrutture di distribuzione. Quindi dobbiamo immaginare alcuni investimenti miliardari su queste reti. Per dare un’idea, la sola città di Milano ha bisogno di un investimento, per quel che riguarda la rete elettrica, di 1,8 miliardi di euro.

Quali sono le maggiori sfide che si è trovato ad affrontare nel corso del suo percorso professionale?

La grande sfida a livello personale è consistita nel ripartire periodicamente per trovare nuovi mondi, nuovi stimoli, nuovi ambiti sui quali avere la voglia “fanciullesca” di continuare ad impegnarsi oltre i propri limiti personali. Non si può restare per tutta la vita a lavorare solo su un tema, perché con il passare del tempo si perde la propria capacità di innovare. Ripartire da zero periodicamente mi ha permesso soprattutto di mettere in moto un grande fattore di crescita che è la curiosità intellettuale. Questa per me è la grande sfida: tutte le volte trovare un elemento di curiosità intellettuale su cui applicarmi con il massimo della passione.

Quali sono le scelte che, secondo lei, deve fare oggi un’azienda per definirsi sostenibile e innovativa?

Un’azienda è sostenibile quando i suoi piani e i suoi progetti sono sostenibili. Un’azienda non è più sostenibile quando non ha più progettualità e non è più capace di proiettarsi nel futuro. Per farlo, è necessario immaginare il futuro. Nessuno di noi ha la sfera di cristallo ma ciascuno di noi, ancor di più un senior manager, ha l’obbligo di immaginare e di proiettare la propria azienda nel futuro, purché sia un futuro migliore. Tutti parlano di crescita, ma la crescita non è soltanto una crescita di fattori economici, è anche crescita delle persone, della società in cui vivi, del rapporto che ti lega a ciò che ti circonda. Queste sono le dimensioni che rendono un’azienda sostenibile. Un’azienda non è sostenibile perché è sostenibile il suo conto economico o il suo stato patrimoniale. Un’azienda è sostenibile perché pensa e guarda al futuro.

Con il governo Draghi, l’Italia sembra aver ritrovato una stabilità e una credibilità politica che negli ultimi anni aveva perso. Nuovi ostacoli e minacce di instabilità incombono però all’orizzonte. In qualità di membro di una Scuola Politica che intende formare la futura classe dirigente del Paese, quali sono, secondo lei, le qualità di cui necessita un giovane che aspira a ricoprire un ruolo di responsabilità politica o manageriale nel nostro Paese?

Credo che siamo tutti d’accordo sul fatto che la dimostrazione che ci ha fornito il governo Draghi sia stata la capacità di ri-portare al centro del dibattito il concetto di valore. L’Italia, in questi anni, ha affrontato un percorso fatto di strade tortuose ma anche di importanti momenti di innovazione politica. Non dimentichiamoci, dopo tutto, che il nostro Paese è sempre stato un interessantissimo laboratorio politico. Quando alla fine degli anni ’90 da noi si svilupparono movimenti di carattere regionalistico, pochi anni dopo li abbiamo ritrovati anche in altri Paesi Europei. O quando l’Italia ha visto la nascita di un movimento che si ispirava alla democrazia diretta (il M5S), questo esperimento in seguito è stato replicato da molti altri movimenti che hanno attraversato l’Europa. Forse l’Italia non ha mai avuto un vero grande movimento verde europeo come per esempio la Germania, ma rimane comunque un interessantissimo laboratorio di politica. Oggi noi ci troviamo innegabilmente di fronte ad una nuova fase di crisi, acuita dalla pandemia, che ha portato al centro dell’attenzione planetaria gli elementi di debolezza intrinseca della nostra società. A questo punto è giunto il momento di fare quadrato intorno alla competenza, attorno a valori che sono centrali, in un certo senso verticali di conoscenza. Questa lezione va allora applicata non solo alla dimensione politica, ma anche a quella di impresa. La realtà oggi è che le imprese operano in scenari e in contesti dove “crisis management is the new normal”, e quindi le aziende non possono che affidarsi ad alcuni valori chiave come la competenza, il merito e il talento. Il talento non ha gender, non ha razza, non ha età: il talento è un’attitudine della mente prima ancora di essere qualcosa di legato alle proprie caratteristiche fisiognomiche.

 

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