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Quirinale, democrazia in crisi

sergio mattarella quirinale

La versione originale di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di marzo 2022. Ci si può abbonare al magazine di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

Su queste colonne, all’inizio dello scorso settembre, avevamo formulato la facile previsione secondo la quale o sarebbe salito al Quirinale Mario Draghi o sarebbe stato confermato Sergio Mattarella. Al di là di queste due soluzioni, scrivevamo, si sarebbe entrati in acque sconosciute, nelle quali sarebbero stati messi a rischio interessi vitali per il Paese.

Come ora sappiamo, è stato confermato il presidente Mattarella. Per i motivi detti allora, una soluzione che tranquillizza. Ma che purtroppo conferma la grave crisi nella quale il nostro sistema democratico si dibatte da troppi anni. Non è un’opinione sulla quale discutere, è un fatto da constatare. Quando la situazione si fa difficile, e avviene periodicamente, il nostro sistema dei partiti non è in grado di risolvere il problema del governo. Si fa allora ricorso a personalità esterne al gioco democratico, di cui addirittura non si conosce la collocazione politica. È successo con Ciampi, Dini, Monti e ora Draghi. Non accade niente di simile in nessuna grande democrazia.

La novità è che ormai non si riesce neanche a scegliere l’arbitro-garante del gioco democratico, la massima autorità del Paese. Per ben due volte il meccanismo che porta alla scelta del presidente della Repubblica si è inceppato, e i ‘grandi elettori’ sono stati costretti a implorare di restare a colui che già occupava quella carica.

Prima Giorgio Napolitano, oggi Sergio Mattarella. Due degnissime persone, capaci di svolgere con onore il ruolo loro assegnato. Gli stessi Ciampi, Dini, Monti e Draghi – pur molto diversi tra loro – hanno evitato che il disastro che si annunciava in un vicino orizzonte si concretizzasse. Ma non sarà che dietro l’orizzonte si sta formando la tempesta perfetta? Proviamo a osservare la cosa dal punto di vista del semplice elettore.

Privato del diritto – garantito dal meccanismo dei piccoli collegi elettorali – di scegliere il proprio rappresentate in Parlamento. Privato del diritto – normale in una democrazia – di scegliere chi lo debba governare. Solo guardando a questa legislatura, chi ha votato ad esempio M5s contro il Pd, contro la Lega, contro Berlusconi, ha visto i propri eletti governare con gli uni e con gli altri, prima a fasi alterne poi tutti insieme.

Quello stesso elettore, chiunque abbia votato nelle ultime elezioni, ha sentito ora dire che il rinnovo di Mattarella era inevitabile, che il governo di Draghi era ineluttabile.

Se è così, a che serve votare? Quanto tempo ci vorrà perché tanti elettori si pongano la domanda e, non trovando una risposta efficace, smettano di recarsi alle urne? Un sistema democratico è in grado di sopportare uno sciopero del voto senza franare su se stesso? Molti partiti sembrano orientati a tentare di uscire dalla crisi riducendo ulteriormente il potere in mano agli elettori. Ed ecco le proposte di modificare il sistema elettorale in una direzione ancora più proporzionale: diano gli elettori una delega più ampia ai partiti, non costringendoli entro i vincoli di accordi di coalizione, e loro risolveranno il problema del governo democratico. Ma è una proposta davvero poco credibile.

Già in questa legislatura, nata da una legge elettorale che pure aveva condotto alla nascita di coalizioni, ciascuno se ne è svincolato velocemente, dando vita alle più improbabili maggioranze di governo prima e dovendo poi ricorrere al ‘papa straniero’ Mario Draghi. Lì dove la delega concessa ai partiti era la più ampia possibile – nessuno era stato vincolato dagli elettori a sostenere l’uno o l’altro candidato a presidente della Repubblica – i partiti hanno fallito, costretti infine a implorare Mattarella di restare. Il rimedio proposto è peggiore del male. Forse non resta che ricorrere alla maggiore risorsa su cui un sistema democratico può contare: la legittimazione garantita da una estesa base elettorale. Il presidente della Repubblica sia scelto direttamente dagli elettori. E questi dispongano di un sistema che consenta loro di scegliere anche chi dovrà governarli, come avviene nella maggior parte delle grandi democrazie.

Non bisogna andare lontano: in fondo è quel che anche qui da noi avviene nelle Regioni e nei Comuni. A livello locale i partiti sono i medesimi partiti nazionali. Tuttavia il presidente di Regione, il sindaco, si conoscono il giorno stesso delle elezioni. Così come quali partiti offriranno loro la maggioranza per governare. Purtroppo è difficile arrivarci. Soprattutto dopo che, con una serie di decisioni improvvide, la Corte costituzionale ha spuntato il meccanismo dei referendum in materia istituzionale. Ma, anche se la strada è incerta e difficile, l’obiettivo dovrebbe essere chiaro. Almeno per evitare di inoltrarci nella direzione opposta a quella che dovremmo provare a seguire.

 

La versione originale di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di marzo 2022. Ci si può abbonare al magazine di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

 

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