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L’obesità non è una colpa

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Imbarazzo, sensi di colpa, difficoltà a trovare capi di abbigliamento adatti. Ma attenzione, l’obesità non è una colpa. A sottolinearlo, in occasione della Giornata mondiale dell’obesità è l’Associazione Medici Endocrinologi (Ame). Si tratta di una malattia cronica, in crescita nei Paesi occidentali, che come tale va riconosciuta e curata.

L’obesità – sottolineano gli specialisti – non è determinata dalla cattiva volontà dei pazienti, ma da alterazioni metaboliche geneticamente determinate che comportano riduzione della spesa energetica, aumento dell’appetito e riduzione del senso di sazietà solo parzialmente controllabili dalla volontà.

Dopo il pasto “nel soggetto magro – spiega Franco Grimaldi presidente di Ame – nel soggetto magro si verifica un aumento degli ormoni della sazietà, nell’obeso una riduzione e pertanto non è sorprendente, che il soggetto obeso continui a mangiare. Ciò indica che, così come accade al paziente diabetico, che non diventa diabetico per sua scelta ma per alcune alterazioni metaboliche geneticamente determinate, l’obesità è la conseguenza di una complessa interazione tra un ambiente obesogeno ed una predisposizione genetica. Nessun diabetico sceglie di diventarlo e neanche il paziente con obesità”.

Ma la maggior parte dei pazienti obesi si ritiene responsabile del proprio stato, senza aver cognizione che quando mangia non lo fa per sua libera scelta ma sotto l’influenza di ormoni che non ha scelto di avere. “Anni di accuse, di giudizi e di pregiudizi hanno convinto il paziente con obesità di essere pigro, reticente e privo di forza di volontà determinando lo stigma dell’obesità”, riferisce Marco Chianelli, coordinatore della Commissione Ame Obesità e Metabolismo.

“Tali pazienti hanno una caratteristica non comune alle altre patologie croniche: si sentono in colpa per essere malati e soprattutto si sentono responsabili. Nessun paziente iperteso – continua – si sente in colpa per esserlo. Il paziente obeso sì, e ciò contribuisce a generare problematiche psicologiche che impattano notevolmente sulla qualità della vita e non solo”.

Non si tratta di un pregiudizio diffuso solamente nell’opinione pubblica, ma anche nella comunità medica, avvertono gli endocrinologi, con possibili ricadute nella cura e nell’assistenza dei pazienti obesi. “Purtroppo l’assioma ‘il paziente obeso, è obeso perché mangia’, è ancora adottato da molti medici, anche da alcuni specialisti”, denuncia Chianelli. “Dobbiamo far capire alla comunità medica e ai pazienti che è vero il contrario: il paziente obeso mangia perché è obeso. Solo allora – continua – potremo condurre il paziente con obesità in un percorso difficile ma possibile, che dura tutta la vita, come nel caso del diabete, dell’ipertensione e di molte altre malattie croniche”.

Non solo: il paziente dimagrito non è guarito anzi, dopo il dimagramento indotto dalla dieta le alterazioni metaboliche che determinano l’obesità peggiorano e, in assenza di una terapia cronica, garantiscono un recupero ponderale che viene osservato dalla maggior parte dei pazienti. “Nuove terapie mediche sono disponibili oggi, ben tollerate, efficaci, di provata sicurezza anche per l’uso cronico”, riferisce Grimaldi.

Questo è un settore in fermento: vengono prodotti farmaci sempre più efficaci che saranno in grado di consentire un dimagramento tale da controllare molte delle complicanze causate dall’obesità, concludono gli esperti.

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