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Viaggi in aereo, oltre le miglia l’era dei flycoin

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Il comparto travel cerca nuove soluzioni per incentivare e premiare la loyalty dei viaggiatori. Dalle miglia nei cieli al marketing a terra. E ritorno. La versione originale di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di aprile 2022.

Sono trascorsi due anni dalla prima ondata di stop, uno tsunami che nel turismo ha colpito con maggiore rapidità, forza e portata il comparto dei viaggi in aereo: oltre 200 mld di perdite stimate per il biennio 2020-2021. Se si guarda ai valori globali degli rpk (revenue passenger kilometres) il 2021 s’è chiuso con recupero evidenziato da un report Iata, l’International Air Transport Association (un network di quasi trecento compagnie che rappresentano oltre quattro quinti del totale): rispetto al 2019 sono saliti dal 34,2% del 2020 al 41,6% dell’anno scorso.

Rimbalzo netto, dunque. Ma i livelli pre-pandemia sono lontani. Se alcuni player hanno mitigato le perdite con l’aumento dei volumi di operazioni cargo (il 2021 dell’air freight è stato uno ‘stellar year’, sempre secondo la Iata) viene da chiedersi: ora che di frequent non è rimasto un granché e di flyer ce ne sono complessivamente meno – anche se nuove rotte e rimodulazioni azzeccate fanno ben sperare (ci torneremo) – cos’è cambiato nei programmi di loyalty basati sull’accumulo di miglia? Non molto, se si osserva l’evoluzione di quegli schemi di rewarding rispetto agli esordi di oltre quarant’anni fa (è opinione condivisa che tutto nacque con due iniziative di United e di American Airlines nella primavera del 1981): era già da tempo in atto una graduale e sempre più estesa evoluzione di quei modelli. Oppure parecchio, se si considera quanto la ricerca di nuova sostenibilità economica nel breve termine abbia spinto le compagnie a radicalizzare orientamenti e investimenti. Partendo proprio dai frequent flyer program a cui viene consegnato il ruolo di ecosistema sempre meno marginale verso il next normal dei cieli. Lo schema-base originale (potremmo chiamarlo ‘sky to sky’) che prevedeva di guadagnare crediti volando e spenderli per altri voli non esiste più, non in quei termini. Ce ne siamo accorti un po’ tutti e non da ieri.

Il termine ‘mile’ resiste un po’ forse per nostalgia e abitudine, un po’ per quell’epica dell’extra mile, del last mile, etc. Ci vide lungo Lufthansa quando nel 1993 lanciò “Miles & More”, è andata meno bene ai viaggiatori di Alitalia che per tre lustri hanno cullato il sogno perpetuo di mille miglia e ancora mille. Sono i point che contano e conviene venderli ai partner (banche e circuiti di carte di credito, operatori di noleggio, etc) che li usano per premiare gli acquisti. Rettangoli di plastica airline-branded, portali e incentivi per acquisti members-only, altri servizi secondo la logica della community, etc. Funziona, soprattutto ora, potenziato e assicurato anche dalle recenti innovazioni blockchain nel turismo. Sbarcato a terra, il marketing di frequent flyer s’è dimostrato solido. Per le holding di credito, certo: clienti dal profilo mediamente più appetibile (per portafoglio, reattività a iniziative mirate, propensione al rinnovo). Ma anche e soprattutto per le compagnie aeree che sono ancora – e più di prima, si direbbe – in grado di negoziare la vendita di punti con accordi vantaggiosi. I dati corporate più interessanti sono pochi ma i segnali parecchi e paiono indicare che quei profitti costituiscono una quota sempre maggiore della linfa vitale degli attori più importanti dell’industria volante. Che hanno così un’opzione allettante ma con qualche insidia: spingere ancora di più per avere extra cash in attesa di capire meglio cosa fare? O pensare a un nuovo modello ‘ground to ground’, per farsi poi trovare pronti quando i volumi torneranno ad avvicinarsi a quelli del 2019? Chi ha ceduto parte di quegli asset ci ha quasi sempre ripensato, chi stava alla finestra – ops, al finestrino – continua a valutare. Il rischio è infatti perdere progressivamente contatto col cliente/passeggero, delegando la loyalty a un intermediario. Il caso di The Points Guy è illuminante: star nata in sordina come blogger che forniva dritte per accumulare e spendere miglia, è esplosa e diventata punto di riferimento planetario di viaggiatori seriali e non. E ha sviluppato un’app che ha mandato su tutte le furie American Airlines che l’ha citato in giudizio. Le accuse? Concorrenza sleale attraverso violazione di trademark e privacy.

La risposta del fondatore Brian Kelly – con contromossa legale e relativa richiesta di pronunciamento di una corte in Delaware – invoca il diritto dei titolari dei crediti a gestirli fuori dalle piattaforme i cui servizi hanno consentito di generarli. In attesa di conoscere l’esito della disputa – farà scuola, ne siamo convinti – è sempre più evidente che la questione è: l’era dei flycoin è matura? Sono passati vent’anni tondi tondi da quando l’Economist calcolava che il valore complessivo delle miglia non reclamate le avrebbe collocate al secondo posto dopo il dollaro (tenendo ovviamente conto solo di banconote e monete in circolazione). “Sono tradizionalmente di difficile paragone con valute vere e proprie, spesso difettano infatti del requisito di trasferibilità e utilizzabilità al di fuori dei circuiti di emissione”, spiega Raoul Minetti, professore di Economia alla Michigan State University. “Le crescenti proposte di conversione in criptovalute e i più ambiziosi scenari dei flycoin apriranno tuttavia nuove frontiere. Alle opportunità si potrebbe affiancare d’altro canto una maggiore attenzione nella regolamentazione. È in tale direzione che l’amministrazione Biden si sta muovendo in questi mesi per affinare le regole d’impiego di strumenti che in futuro potrebbero essere soggetti a vincoli”.

Come si è passati dallo ‘sky to sky’ al ‘ground to ground’? L’evoluzione l’hanno facilitata, beneficiandone, le alleanze che hanno visto l’addensarsi di tanti vessilli in pochi loghi. Ad alimentarla e trainarla ci ha però pensato quasi soltanto il segmento dei viaggi d’affari, il più fertile per gli investimenti e il meglio adeguato per sperimentare programmi alternativi. È però proprio quello che con maggiore difficoltà tornerà com’era. Cosa resta? La necessità di un nuovo modello ‘sky to ground’. Ché, a pensarci bene, è nel Dna di ogni compagnia aerea: incentivare a pagare per volare. Business (class) as not usual.

La versione originale di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di aprile 2022. Ci si può abbonare al magazine di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

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